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Paola Demagri

Alla scoperta di Bondone-Baitoni uno tra i Borghi più belli d’Italia

Da Paola Demagri 9 Agosto 2022

Bondone è una cittadina completamente diversa, dove il tempo sembra essersi fermato e la modernità appare a chi la visita una cosa amena. Proprio per questo la cittadina mantiene un’aurea quasi misteriosa tanto è l’autenticità preservata da secoli. Non a caso il borgo è stato dichiarato uno dei borghi più belli d’Italia.

Bondone è un paese di mezza montagna a 720 m.s.l.m situato nella Valle del Chiese  ed è composto da due frazioni Bondone e Baitoni che se affaccia sul lago d’Idro.

Nel passato il carbonaio è stata l’attività più diffusa degli abitanti , condizione lavorativa che teneva lontane dal paese intere famiglie che si trasferivano sulle montagne della Rendena, del Bleggio, della Paganello, dello Stivo con gli attrezzi del mestiere in spalla. Con fatica tagliavano la legna che poi veniva collocata a piramide da ardere a fuoco lento, senza la presenza dell’aria, producendo così il carbone.

Osservando oggi le vie del paese sembra proprio che il tempo si sia fermato per Bondone e i suoi abitanti: le strutture originarie, i vicoli stretti acciottolati, la cordialità dei bondoneri che accolgono il turista all’ingresso del paese. Archi, scalinate, affreschi ricchi di significato, case abbellite da fiori e piante rigogliose sono il bel biglietto da visita che questo Comune può offrire avvalorato poi da altre offerte turistiche come il Lago d’Idro, il Castello di San Giovanni, una splendida vista sul lago, la ferrata Sasse che collega Baitoni a Vesta.

I giovani amministratori locali hanno con prudenza e saggezza basato una parte del loro programma a sviluppare la componente turistica facendo in modo che il turista non sia solo di passaggio ma senta la necessità di fermarsi per una breve vacanza tra la natura, la storia e la cultura.

Ad un anno dal loro insediamento si notano già i primi risultati e muoversi in paese con loro si è avuta la sensazione che gli abitanti ne vadano tanto orgogliosi e questo è stato un aspetto che non mi ha lasciata per nulla indifferente.

9 Agosto 2022 0 Commenti
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Carenza di medici: e se il problema fosse alla radice?

Da Paola Demagri 7 Agosto 2022

Propongo un’attenta disamina sulla questione che affligge il Sistema Sanitario provinciale e nazionale

Ormai è all’odine del giorno la problematica della mancanza di personale medico, in Trentino come
dovunque i professionisti sembrano propensi a fuggire in massa o nel settore privato o verso lidi esteri.
Questo accade soprattutto per quanto riguarda la nuova generazione, quella che dovrebbe prendere in
carico il futuro del Servizio sanitario nazionale e da noi provinciale. Quello che tanto ci invidiano all’estero,
uno dei migliori se non per qualità, sicuramente per capillarità. In Italia come in Trentino nessuno viene
abbandonato, grazie a quel bellissimo e affasciante articolo 32 della nostra Carta Costituzionale, che pone
lo Stato e le sue dirette promanazioni, quindi anche e anzi in modo particolare le Province autonome, come
primi organi di tutela della salute dei cittadini. Una dimostrazione di estrema sensibilità e lungimiranza da
parte dei Padri costituenti, i quali nei travagliati anni del dopoguerra seppero redigere una Costituzione
che, nonostante per certi versi incominci ad accusare gli anni è sempre attuale e la cui lettura provoca, per
la perenne attualità dei sui articoli e la profondità delle argomentazioni, una certa emozione e una buona
dose di riflessioni sul carisma, lo spiccato senso di intuizione e la capacità di proiettarsi nel futuro dei politici
di allora.


Con l’andare del tempo qualcosa si è però inceppato. Ma perché?


In questo articolo cercherò di spiegare la situazione in modo semplice e diretto ricorrendo anche
all’esperienza personale, ancora in me molto viva. Porterò esempi di amici e colleghi che ritengo utili per
meglio comprendere la complessa situazione nella speranza di non essere troppo noioso. Inoltre le
informazioni che seguono sono verificabili anche dalla lettura di numerosi articoli apparsi negli anni su
quotidiani autorevoli, uno su tutti “ L’Espresso”, che proprio in questo periodo sta svolgendo un’inchiesta
sulle specializzazioni in ambito sanitario. L’obiettivo è quello di rappresentare, almeno in linea di massima,
quello che è il mondo della formazione medica in Italia.
Il primo punto si cui vorrei soffermarmi riguarda quello che, a mio avviso, è l’origine del male, ciò da cui
tutto prende le mosse recando danno al sistema.


Punto 1. La malagestione


Fu nel 1999 il ministro Rosy Bindi, a mio parere amministratrice per nulla sprovveduta, che pur
dimostrando un certo buonsenso nella gestione della sanità, diede il via a questo sistema di formazione.
Sbagliando totalmente e clamorosamente l’approccio nella gestione delle giovani leve, cadde cioè laddove
è più probabile errare per un non medico alle prese con l’organizzazione della formazione. Stabilì infatti che
essa dovesse essere esclusivamente appannaggio delle università. Fu questo a mio parere, l’errore più
grande. Il sistema universitario venne dunque caricato di una responsabilità enorme, posta nelle mani di
relativamente poche persone, ossia i cattedratici. Detta categoria, nel nostro paese, è composta
certamente anche da brave persone, dedite alla propria missione di promulgatori del sapere ma, all’interno
di essi alberga purtroppo un sottoinsieme di energumeni che non rispondono esattamente ai criteri che si ci
si aspetta siano soddisfatti per coloro ai quali lo stato affida il complesso compito di rappresentare la
massima espressione culturale di un paese, cioè appunto l’accademia. In ambito medico questo è
particolarmente evidente proprio per la lunghezza del percorso che il titolo necessita e specialmente per
l’obbligo di ottenere anche una specializzazione per poi esercitare la professione desiderata. Quanto queste
presenze “deviate” inficino il sistema è testimoniato dal fatto che lo Stato ha dovuto financo cambiare la
modalità di accesso alle Scuole di specializzazione. Un tempo erano proprio i Direttori di Scuola a fare i
concorsi e poi a stilare le graduatorie, ora è un test anonimo fatto al computer, in modo da garantire più
correttezza. Il motivo del cambio è semplice. Con l’andare degli anni il loro modo di mortificare il merito a
scapito del clientelismo, del nepotismo e delle più lampanti scorrettezze in sede concorsuale sono divenute
insostenibili, lo Stato quindi è corso ai ripari. Con buona pace di coloro che non smettono di sottolineare i
difetti della metodica è l’unico modo per garantire una certa meritocrazia nella selezione all’interno di un

sistema che non riesce a espellere certe mele marce, finendone esso stesso vittima. Ma tali professori, che
dunque non sono pochi, detengono ancora il potere di organizzazione delle Scuole, della programmazione
delle lezioni e dei tirocini che sarebbero previsti dal piano formativo. Ho usato il condizionale perché
purtroppo le lezioni svolte sono assai poche, se non nulle, ed anche i tirocini non sono certo adeguati né
per numero e né, sicuramente, per qualità. Si pensi che sul contratto di formazione specialistica firmato da
ogni medico all’inizio del proprio percorso è riportato all’Art. 4: “il medico in formazione specialistica si
impegna ad assolvere un programma settimanale complessivo da ripartirsi tra attività teoriche e pratiche
secondo quanto stabilito dall’ordinamento didattico della scuola”. Naturalmente non esistono lezioni
settimanali, come dicevo, casomai potremmo contarle su base annuale, ma anche con questo criterio non
avremmo certo bisogno della calcolatrice. Bisogna sottolineare comunque che i tempi della medicina
moderna, sempre più frenetica, mal si conciliano con il reperimento di tranquilli momenti in cui poter
svolgere delle lezioni, togliendo dunque un medico, sia esso accademico o meno, al lavoro di corsia, in
particolar modo negli ospedali universitari, grandi e non ottimamente organizzati. Non mi dilungo con la
citazione e il commento degli articoli del contratto di formazione, ma posso affermare con granitica
certezza che, in sostanza, il giovane medico in Italia firma un contratto in cui è contenuta la certezza di
essere sfruttato, sottopagato e talvolta anche umiliato come professionista e come persona. Mi si permetta
di ricorrere a ricordi personali in cui non ho visto in quattro anni una lezione della materia oggetto della
specializzazione, non ho svolto i tirocini previsti e quando ne chiesi il motivo mi dissero che era meglio
tacere. Naturalmente ho citato un’esperienza personale ma, credo eloquente, di ciò che può accadere in
talune scuole di specializzazione, senza possibilità di intervento da parte di alcuno. Ora si sono inventati i
criteri di valutazione, tentativo di controllo da parte del Ministero sull’ attività e sulla qualità delle Scuole.
Come si può facilmente evincere non è certo abbastanza, ma quantomeno si registra la presa di coscienza
che qualcosa non va. I fatti parlano chiaro, i criteri valutativi sono fragili, facilmente ingannabili e
l’emorragia di medici verso l’estero non si placa, mentre in quelli che rimangono cresce frustrazione e
insoddisfazione. Il 3 giugno 2022 L’Espresso pubblicava l’ennesimo interessantissimo articolo in cui si
descriveva la vita impossibile di uno specializzando, si narrava delle 80 ore alla settimana richieste, della
responsabilità di dover reggere sulle proprie giovani e inesperte spalle le sorti giornaliere di un interno
reparto, delle pause pranzo sostanzialmente inesistenti, del tempo libero, diritto di ogni lavoratore,
totalmente assente. Vi sono poi, come di consueto, a fronte degli zero diritti, i numerosi doveri, nel caso
specifico racconta lo specializzando, quello di scrivere due articoli scientifici all’anno a pena di ripercussione
e ritorsioni in sede di esame di passaggio di anno. E qui ci fermiamo, urge spiegazione. Si deve infatti sapere
che non solo si lavora in condizioni pessime, stancanti il fisico e direi quel che è peggio, laceranti la psiche e
l’animo, ma alla bisogna dell’istituzione universitaria per completare l’annientamento dell’individuo si
ritorna studenti, dovendo superare un esame per passare all’anno successivo. Dato che le lezioni non
vengono fatte e che si lavora come degli “schiavizzandi” per usare il termine burlesco usato da un’anziana
dottoressa dove ho svolto la formazione, il sottoscritto non ha mai accettato la presenza di questo esame
che, in linea con il modo di intendere la formazione da parte degli accademici sopradescritti non è altro che
il luogo dove praticare le vendette contro gli specializzandi non graditi, meno lacchè, a loro modo di vedere
in un una parola: i reietti. Mi soffermo per qualche riga sull’obbligo inerente alla pubblicazione di due
articoli scientifici descritta dallo specializzando protagonista dell’articolo. Ebbene sono modalità di
coartazione diffuse, che ancora una volta non guardano certo all’aumento del prestigio del curriculum del
giovane medico, di cui naturalmente a nessuno cala un bel nulla, bensì al numero di pubblicazioni utili alla
Scuola e ai Direttori per darsi lustro, proprio per soddisfare i criteri valutativi. Le ritorsioni di cui lo
specializzando parla si verificano solitamente durante l’esame di passaggio di anno, unica utilità, se può
essere considerata tale, di un esame quindi basato sul nulla, che non contempla certo la valutazione di
conoscenze e non si basa su criteri meritocratici.
In un altro articolo de “L’Espresso”, intitolato “ La sanità italiana si regge sui medici specializzandi: giovani e
sfruttati, ora molti stanno abbandonando” questa volta pubblicato in data 22 maggio 2022 si affronta il
problema della carenza di medici, racconta situazioni analoghe a quelle del collega frequentante a Napoli,
ma il teatro sono questa volta l’ Università La Sapienza di Roma e l’Università di Verona. A testimonianza
dell’omogeneità del malcontento che si spalma da sud a nord del Paese e a dimostrazione di come la deriva
sia complessiva. Mi ha colpito in particolare lo stralcio dello scritto in cui si riporta che “ … agli
specializzandi di Verona è stato consegnato un orario turni che supera le 250 ore mensili, violando qualsiasi

direttiva europea e nazionale sul rispetto delle pause e de riposi. E sempre a Verona, a causa della carenza
di organico, gli specializzandi vengono mandati in sala operatoria a fare le veci dei medici anestesisti …” .
Innanzitutto mi fa piacere che gli specializzandi veronesi abbiano finalmente trovato il coraggio di
denunciare la situazione da me ben conosciuta, inveterata, ma sin ora sempre passata sotto silenzio per
paura delle solite rappresaglie e minacce. In seconda battuta è d’obbligo una riflessione: mi chiedo fino a
che grado di scorrettezza possano spingersi i Direttori e annessi professori che governano la formazione,
fino a che punto essi possano sentirsi sicuri nel costringere i giovani medici a fare qualsiasi cosa, se
addirittura si mette nero su bianco un piano di ore di 250 ore mensili, violando le normative, ma
soprattutto il buonsenso, nonché la sicurezza degli stessi specializzandi e in ultimo dei pazienti.
Progredendo nell’ attingere importati informazioni dall’articolo si apprende che alla domanda presente
all’interno del questionario annuale somministrato agli specializzandi inerente alla soddisfazione in
riferimento alla propria Scuola di appartenenza, ben un terzo delle 988 scuole esistenti non raggiunge la
sufficienza, spicca il voto 1 (uno) alla scuola di specializzazione di Medicina del Lavoro di Verona e a quella
di Cardiochirurgia di Roma Tor Vergata. Per tornare a parlare del clima creato da taluni cattedratici lo
scritto cita anche il caso di un giovane medico che accusa il proprio professore di costringere gli
specializzandi a compiere delle flessioni ogni qualvolta essi si presentino tardi in reparto. La Scuola in
questione è quella di Ortopedia di Salerno dove, per inciso, non si raggiunge il numero minimo di interventi
necessari ad essere Scuola di Specializzazione, tuttavia se non sbaglio essa ha ottenuto ugualmente
l’accreditamento in base ai criteri di valutazione già citati, evidentemente raggirati.
Personalmente ho l’impressione che gli ispettori siano costretti a chiudere di sovente non uno ma anche
entrambi gli occhi, altrimenti le chiuderebbero quasi tutte. A me fu chiesto di pulire gli scantinati
dell’Ospedale, di lindare l’ambulatorio dopo averlo usato, compreso il bagno adibito ai pazienti.
Naturalmente non lo feci mai, ma alcuni colleghi esaudirono la richiesta, immagino. Colleghi di altre Scuole,
ora specialisti, mi hanno riferito di aver dovuto portare la macchina del Direttore a lavare, di avergli dovuto
ritirare gli abiti in tintoria ecc.
Il risultato può dirsi scontato. Tale clima di esasperazione e direi annientamento della professionalità e
della personalità, condito e sapientemente miscelato, con buona e quotidiana dose di umiliazione ha
prodotto quest’anno ben 846 abbandoni delle Scuole da parte degli specializzandi. Vuol dire che l’Italia si è
privata, in molti casi per sempre di 846 medici, ai quali naturalmente sono state pagate le mensilità fin
quando hanno frequentato, soldi definitivamente persi, come perso è l’inestimabile patrimonio culturale e
umano che rappresentano questi medici.


Punto 2. Trattamento economico


La seconda grande questione che stritola la formazione medica nel nostro paese è rappresentata dall’entità
degli stipendi, in realtà termine improprio dato che giuridicamente si tratta di un contratto formazione-
lavoro e dunque si parla più correttamente di “borsa di studio”. Andiamo subito al sodo, essi percepiscono
1650 euro mensili che vengono aumentati di 100 euro negli ultimi due anni di specializzazione, la quale
dura 4 o 5 anni conformemente al percorso scelto. Talvolta l’inquadramento statale come borsa di studio è
utilizzato per sostenere bizzarre e poco opportune tesi circa il presunto vantaggio che un siffatto
trattamento avrebbe per gli specializzandi, stante l’esenzione da oneri fiscali. Certamente è così per quanto
riguarda l’Agenzia delle Entrate, lo Stato per intenderci. In realtà le cose sono completamente diverse.
Infatti, se fiscalmente le borse di studio sono da considerarsi “protette” non lo sono certo per quanto
attiene alla tassazione universitaria. Leggendo un interessante relazione di FederSpecializzandi si evince che
il valore medio degli importi minimi versati da ciascun specializzando ammonta a 1.574,93 euro. I valori
massimi sono ben oltre le due mensilità. Questo, in una condizione contrattuale che non prevede
tredicesima, straordinari e pieno riconoscimento dei contributi INPS. Per questo aspetto l’acuto ragioniere
di Stato che ha pensato il contratto di lavoro per i giovani medici, ha inventato una formula beffarda a cui
ha dato il nome di “gestione separata” cioè a dire che gli anni non sono riconosciuti dall’ente previdenziale
in toto bensì al 75%. Capite dunque la totale inadeguatezza contrattuale e in ultimo dunque, del sistema
formativo nel suo complesso. Esso è poco convincente sin dall’inizio, sin dalla prima cosa che lo regola,
ossia il contratto che ognuno firma all’inizio del proprio percorso.

Alcune riflessioni


Ho tentato di riassumere la problematica in due soli brevi punti di criticità, ma l’elenco potrebbe scorrere
ben più lungo, fino a riempire le pagine di un intero libro. Quando, come me, si viene a contatto con il
mondo accademico riguardante la formazione medica si intuisce fin dagli esordi che essa è paziente
gravemente malato, financo boccheggiante. Certo a causa della preponderante presenza di mele marce al
suo interno, che la riducono a covo di relazioni antimeritocratiche e nepotistiche, ben poco confacenti ai
sogni e alle aspettative di un giovane medico. Ecco quindi che il professionista agli albori della carriera si
sente deluso, annientato e umiliato non solo nel portafoglio ma anche nella propria identità.
Taluni danno dei “mammoni” agli italiani ma, obietto io, è lo Stato che non concepisce l’indipendenza prima
di una certa, avanzata, età. Pensate che il mio professore, mentre noi ci arrabattavamo a pagare affitti,
tasse e spese di sostentamento, facendo di tutto per tentare di non chiedere soldi ai nostri genitori, cosa
piuttosto imbarazzante tra l’altro, sosteneva a gran voce che gli specializzandi fossero dei soggetti
economicamente privilegiati. Questo è indicativo di come la stupidità più sordida alberghi ai piani gestionali
più alti.
L’Italia è appena prima della Grecia per trattamento economico degli specializzandi, ma uno è un Paese
fallito pochi anni or sono, l’altro è l’Italia, ossia la terza economia europea e alcuni sostengono la seconda,
in taluni settori. Un interessante dossier di Federspecializzandi riporta come la legge n. 398 del 30
novembre 1989 sancisca l’impossibilità di conteggiare la borsa di specializzazione come gettito reddituale,
cioè lo stesso Stato codifica che in Italia un medico laureato e abilitato alla professione non sia da
considerarsi individuo indipendente dando quindi per scontato che viva con i genitori. Questo, assieme con
lo scarso introito economico rende la specialità elitaria, in quanto materia per coloro i quali hanno genitori
facoltosi, non parliamo poi dell’impossibilità di sposarsi e avere una famiglia, cosa naturale verso i
trent’anni, ma non evidentemente non per i medici italiani.
Ora, anche per il non esperto è facile capire come mai lo specializzando italiano sia il più insoddisfatto
d’Europa, con articoli sia di riviste dedicate che generaliste a denunciarne periodicamente la situazione.
Fareste un lavoro di alta responsabilità come il medico, pagati in modo pessimo, con turni massacranti in
cui vi si chiedono anche le umiliati prestazioni elencate sopra, con un trattamento contrattuale come quello
descritto? Secondo me pochi di voi sarebbero disponibili, ma se si vuole una specializzazione in Italia è
questo il prezzo da pagare e ad aggrevare la questione, la beffa finale è la richiesta da parte delle università
delle tasse, come già spiegato. In sostanza si paga per essere motteggiati, denigrati e sbeffeggiati dalla
Stato. L’apoteosi della stupidità, un po’ come se l’animale pagasse il cacciatore che lo uccide. Già…uccide,
questo sistema uccide e non uccide solo il singolo, ma anche il Sistema Sanitario, colpisce a morte, in
ultimo, se stesso. Il connubio di tutte queste negatività in cui spicca il trattamento economico non
adeguato unito sostanzialmente, a una intollerabile mancanza di rispetto, anche contrattuale del
professionista ha una conseguenza tanto semplice quanto deleteria: la migrazione all’estero.
Già nel novembre 2016 il giornale “Quotidiano Sanità” affrontando la problematica della carenza di medici
riportava che le richieste della documentazione per lavorare all’estero erano passate dalle 396 del 2009 alle
2.363 del 2014. Un altro articolo, questa volta apparso nel 2019 su “Il Giornale.it” riportava che tra i camici
bianchi richiedenti l’espatrio per esercitare in un altro paese il 52% era italiano. I dati non differiscono tra
specialisti e specializzandi ma sta a significare che prima o dopo, esausti, se ne vanno.

E in ultimo…cerchiamo una soluzione

Come è possibile ovviare al problema? Bisogna prendere le mosse da quello che sta accadendo nel mondo
medico. Pensiamo alla legge n. 60 del 25 giugno 2019, il famoso decreto Calabria in base al quale gli
specializzandi possono essere assunti dalle aziende ospedaliere anche non universitarie dal terzo anno di
specializzazione in poi. La lettura della legge dovrebbe suscitare negli osservatori qualche dubbio e
perplessità. Infatti, se si ammette che la formazione svolta con le modalità vigenti sia di qualità, come è
possibile che i medici specializzandi siano considerati idonei all’assunzione prima del completamento del
percorso?. La risposta è semplice. Perché un tale percorso non è di qualità, anzi, gli insegnamenti migliori,
utili per la professione vengono appresi sempre negli ospedali non universitari, tutti noi abbiamo aspettato
e chiesto di recarci almeno per un periodo in una sede convenzionata, ossia presso quegli ospedali non
universitari che hanno stipulato accordi con la Scuola universitaria a cui afferisce lo specializzando. Questa
possibilità di frequentazione è resa possibile dal contratto di formazione e a pensarci bene è la sola nota
positiva. Potersene andare dall’ambiente accademico per recarsi in un luogo certamente più ameno, come
l’ospedale clinico è una boccata d’aria fresca. È qui che si conosce il vero mondo medico e in cui le
condizioni di vita sia professionale che personale conoscono generalmente un netto e inequivocabile
miglioramento. E’ in ultimo in queste strutture che fiorisce la stimata classe medica italiana. Quella
apprezzata all’estero, preparata e affidabile.
Ma torniamo al nostro decreto. Vedete, è l’ennesimo tentativo di scatto in avanti da parte delle Regioni.
Esiste uno Stato fermo, incapace di gestire e organizzare la formazione medica, privo di fondi per garantire
un adeguato trattamento economico ai lavoratori del settore, a cui si contrappongono le amministrazioni
regionali e provinciali, che gestiscono la sanità del proprio territorio e manifestano chiaramente la volontà
di sopperire alla carenza dei medici con mezzi propri, avendo le sia le possibilità economiche che quelle
didattiche. La Sanità è infatti ad oggi il settore, forse l’unico, in cui più si avverte un certo federalismo. E
allora mi chiedo come sia possibile che le Regioni e le Province Autonome possano gestire la Sanità
eccettuata la formazione. Mi sembra un’assurdità, un’incongruenza macroscopica da sanare.
La soluzione ultima è per certi versi banale ma all’atto pratico piena di insidie per le resistenze, soprattutto
accademiche, che la proposta può suscitare. E’ necessario, a mio avviso, slegare la formazione medica dall’
Università per farla rientrare nelle competenze del Servizio Sanitario delle diverse Regioni/Province
Autonome. Per richiedere questa competenza è d’obbligo richiedere un tavolo di confronto a livello statale
e superare al contempo la legge Bindi bisognosa di aggiornamento, spostando la competenza della
formazione dallo Stato alle amministrazioni locali che oltretutto possono stipulare convenzioni proficue e
probabilmente ancor più partecipate e stimolanti con gli atenei presenti sul territorio, pur inquadrando il
sanitario come proprio dipendente. In breve la proposta è l’istituzione del Dirigente medico in formazione,
con stipendio adeguato, contributi e straordinari pagati insieme a tutti i diritti e i doveri di qualsiasi altro
medico, esattamente come accade nella maggior parte dei paesi europei in grado di essere attrattivi,
proponendo condizioni di lavoro e trattamento contrattuale adeguato alla professione medica moderna.
Questo è, secondo me, l’unico modo per porre fine alla diaspora sanitaria nel nostro Paese e dunque anche
nella nostra piccola Provincia Autonoma. E’ su questo aggettivo che vorrei porre l’accento: Autonoma. A
questo serve la nostra autonomia, a proporsi come fucina sperimentale per idee nuove, a proporsi come
terra in grado di precorrere i tempi e anticiparne le istanze, a porsi cioè come laboratorio instancabile, reso
possibile proprio in virtù di quelle prerogative autonomiste che ereditiamo dalla nostra storia, complessa e
affascinante in cui il Trentino ha saputo spesso essere il faro trainante anche per i territori confinati e non
solo, attirando interesse e l’ammirazione anche oltreconfine.


Naturalmente certi delicati temi necessitano di sensibilità particolari. La loro trattazione è mandatorio
avvenga per mano di personalità all’altezza, che conoscano i delicati meccanismi dell’autonomia, sappiano
gestirne le potenzialità e le probabili criticità. Non è possibile siano affrontati da una classe politica
centralista e statalista, chiaramente appiattita sui bisogni generici del Paese e poco avvezza a dedicarsi al
alle necessità del singolo territorio. Questa è una tipica istanza che cerca l’ abbraccio di un partito territoriale e ben radicato come quello Autonomista, unico in grado di negoziare con sicura titolarità al
tavolo romano.

Federico Busetti.

7 Agosto 2022 0 Commenti
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Quando il dolore urla dentro il tuo corpo e nessuno ti capisce

Da Paola Demagri 4 Agosto 2022

Ho accolto il disagio e le preoccupazioni di una paziente alla quale hanno hanno fatto una diagnosi di neuropatia del pudendo

Sono una cittadina trentina e vorrei raccontare la mia storia…storia iniziata tempo fa. Chissà che magari con questa mia testimonianza qualcuno si identifica nelle mie stesse condizioni e possa risolvere un problema che lo affligge e di cui non riesce a venirne a capo. Mi azzardo a dire tanto perché la patologia di cui vi parlerò è ancora troppo poco conosciuta, ma purtroppo una realtà per chissà quante ignare persone. Parlo della neuropatia del pudendo, cronica e invalidante, questa che segue è appunto la mia non felice esperienza. Un giorno mi alzo con un peso strano alla vescica e urgenza urinaria, giorno dopo giorno compare il dolore sempre più forte e insopportabile, irradiando tutto il pavimento pelvico, gluteo e gamba sx.

Il calvario delle visite

Prenoto subito una visita a pagamento dal ginecologo il quale riscontra problematiche per cui dovrò fare accertamenti/analisi ecc. Nei 3 mesi successivi vengo visitata da 6 specialisti passando da un esame all’altro. Sfinita dal dolore costante tento pure un accesso in P.S…ma vengo rispedita a casa senza aver risolto alcunché. Il dolore oltre ad essere ormai una costante mi stava facendo impazzire, però ero ancora fiduciosa che “questa volta” fosse la volta buona, quella in cui mi davano una risposta ed una terapia per il dolore che funzionasse. Mille domande ponevo ogni qual volta parlavo con questi specialisti, ma solo una mi interessava davvero: perché ho questi dolori atroci che non li tolgo con nessuna terapia?! Nulla funzionava ed ero ormai prossima alla disperazione, non dormendo nemmeno più.

Finché un bel giorno la mia dott di Base, dopo svariati tentativi provati ma inefficaci (antidolorifici ecc) pensa…e mi dice che potrebbe essere la neuropatia del pudendo. Arrivata a questo punto con la speranza e la fiducia ormai quasi a terra, ascolto la mia dottoressa e mi metto in contatto con uno specialista che tratta questa neuropatia, il quale me la diagnostica dopo accurata visita. Mi prescrive una terapia mirata ed in pochi giorni il dolore recede, mi toglie pure l’80% dei sintomi…e funziona…almeno per quasi tutti i giorni!

Un Associazione per NOI

Scopro inoltre che esiste un’associazione nazionale denominata AINPU composta da questi professionisti che si battono da alcuni anni per il riconoscimento di tale patologia. Ad oggi in Trentino ci sono solo 2 fisioterapiste che conoscono e supportano con il loro lavoro, i medici. Tirando le conclusioni, per avere una diagnosi e poi cura specifica, bisogna uscire dalla provincia (eh si perché specialisti in Trentino non ce ne sono) con in primis tempi di attesa lunghissimi ed inoltre a pagamento (altro dato da non sottovalutare). In Italia ci sono 5000 persone affette da tale male, ma il numero salirebbe sicuramente se tutti ne fossero a conoscenza. Altro dato importantissimo, se si viene curati erroneamente, si potrebbero avere dei danni “meccanici”…cosa che peraltro è già successa.

Il diritto alla Salute da chi e come viene garantito?

Ora, la nostra Costituzione parla di “diritto alla salute…dignità dell’uomo” e tante altre belle parolone, che però non sempre messe in atto. Con questo non è mia intenzione (ne di mia competenza) lanciare accuse a nessuno, mi chiedo solo come mai chi di dovere, ancora oggi con i passi da gigante che ha fatto la medicina, il paziente non venga ascoltato appieno , non venga preso in carico a 360 gradi. La medicina si vanta di prendere a cuore il dolore degli ammalati, parlandone molto…ma alle parole dovrebbero seguirne i fatti!

Chiudo la mia storia comunicandovi che in data 24 maggio c.a. è stata depositata una mozione in consiglio provinciale per il riconoscimento della patologia ed aggiungo che voglio crederci….voglio credere che davvero oltre alle parole ci saranno le dovute azioni..e attenzioni…attenzione a noi poveri ammalati..col nostro dolore…oltre che fisico….psicologico..tante volte ci sentiamo abbandonati…e appunto non ascoltati. Grazie per l’attenzione.

Un’utente che con la sua testimonianza vuole essere d’aiuto per gli altri.

E in Provincia di Trento?

Con i Colleghi Consiglieri Provinciali Paolo Zanella e Luca Zeni abbiamo depositato una mozione affinchè il Consiglio Provinciale riconosca la patologia ai fini di individuare percorsi dedicati, professionisti specializzati e relativa esenzione.

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4 Agosto 2022 0 Commenti
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Il 120° compleanno della Banda Musicale di Romeno: una gran festa per tutti

Da Paola Demagri 1 Agosto 2022

120 anni sono più di un secolo di attività della banda del paese di Romeno che ieri ha voluto festeggiare insieme ad altri corpi bandistici, la gente del paese, i tanti turisti e tutti coloro che hanno sentito la voglia di fare festa.

Una grande festa onorata dalla Santa Messa, dalla sfilata per le vie del paese, il pranzo preparato dai N.U.V.O.L.A., le esibizioni sul palco delle 6 Bande musicali presenti. Ogni gruppo ha proposto alcuni brani distintivi per ognuno e poi il gran finale di alcuni pezzi suonati tutti assieme. 

Le Bande sono molto diffuse  in Trentino, sono tradizione, storia del nostro territorio e cultura.

Le bande da sempre scandiscono particolari momenti delle comunità trentine quali feste o celebrazioni e ad osservare lo spettacolo di ieri si può dire che sono l’orgoglio dei trentini.

Per non parlare poi dell’orgoglio dei bandisti stessi che appena potevano sfoggiavano il numero di anni di appartenenza al proprio gruppo: 40,45 ,50 anni di presenza fissa nella Banda! I miei complimenti. 

Far parte di una banda significa stare con gli altri, suonare per la comunità, intessere relazioni, portare avanti tradizioni, testimonianza, costumi. Camminare nelle vie del paese ha il profondo significato di diffondere ovunque la musica, il canto, la marcia. Una modalità generosa se fatta anche per coloro ( malati, anziani) che per vari motivi non possono uscire di casa per portarsi nelle piazze del paese. 

Non chiamiamolo cambio generazionale.

Nei Gruppi di ieri ho visto una grande presenza di giovani e donne che insieme al resto del Gruppo bandistico hanno reso più armoniose le stesse bande. Non mi piace mai parlare di cambio generazionale e quello che spesso si chiede ai più anziani: di fare un passo indietro per far posto ai più giovani. C’è posto per tutti e la convivenza tra le generazioni è il più bell’esempio di Comunità, di diffusione e apprendimento del sapere.

Ieri mi sono sentita vicina allo spirito che anima la banda Musicale di Romeno, con l’amore per la tradizione trentina, per il territorio, per la sua comunità e per i legami con gli altri Corpi. Questo spirito rende forte e identitario il nostro modo di pensare, di agire, di vivere da trentini nella quotidianità ma anche per proteggerci da chi vorrebbe renderci una Provincia assimilabile  a qualsiasi altra comunità extra regionale. 

Noi siamo NOI che con orgoglio rivendichiamo lo spirito autonomista e l’identità trentina: salvaguardiamo la nostra Terra   anche in prospettiva delle prossime elezioni politiche.

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1 Agosto 2022 0 Commenti
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La Giunta leghista miope e chiusa che non vede a un palmo dal proprio naso

Da Paola Demagri 28 Luglio 2022

Ansia e depressione in aumento e la possibilità che le persone possano chiedere il ”bonus psicologico”, un contributo nazionale da 200 a 600 € , su base ISEE, da concedere a chi voglia intraprendere un percorso di psicoterapia. Le richieste vanno inoltrate all’Inps che dal 25 luglio ha le linee telefoniche sovraccariche, segnale che il bisogno di supporto c’è.

In Provincia Autonoma di Trento la possibilità di intervenire con ulteriori misure la si potrebbe ottenere attraverso l’approvazione di una legge apposita che va oltre il contributo. Con alcuni Consiglieri di minoranza abbiamo depositato un ddl per istituire la figura dello Psicologo di Base da affiancare al MMG che in forma gratuita possa farsi carico dei bisogni della popolazione con particolari bisogni. 

Un ddl di tale portata meriterebbe una sperimentazione al fine di poter portare in aula una Legge adattata alle reali esigenze. 

Per questo durante l’Assestamento di Bilancio con il collega Dallapiccola Michele abbiamo sottoposto al consiglio provinciale un atto politico per impegnare la Giunta ad avviare il percorso di sperimentazione avendo già trovato la disponibilità dei professionisti a collaborare al progetto. Vedi link 

Peccato che la Giunta non abbia appoggiato la proposta ed abbia approfittato di far sapere all’aula e ai trentini che a suo parere il servizio di Psicologia Clinica 1 e 2 di APSS è in grado di sostenere le richieste e che non vi sia la necessità di migliorare il servizio attualmente offerto.

Spiace constatare  durante i lavori d’aula che quella della Giunta leghista è una visione miope che delle difficoltà dei cittadini non ne fa certo un principio di intervento né preventivo né curativo.

28 Luglio 2022 0 Commenti
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Dimissioni del personale in APSS, uno stillicidio giornaliero che porterà ad una anemia cronica 

Da Paola Demagri 26 Luglio 2022

Solo una serie di  trasfusioni urgenti potranno evitare un’inguaribile cronicizzazione.

Ospedale che vai, personale che non trovi è la situazione alla quale oggi assistiamo quasi increduli perché il nostro sistema sanitario ha sempre avuto grande interesse  sia da parte dei lavoratori che dell’utenza. In questo ultimo anno in particolare, da quando la Giunta provinciale ha introdotto una strategia politica che sa tanto di privatizzazione, le richieste di dimissioni stanno aumentando in maniera esponenziale.  Ovviamente non stiamo parlando di dimissioni per quiescenza  ma per motivazioni personali che sono riconducibili a “ cara Azienda non sento più di appartenere a questa famiglia  e ne ho trovata una più accogliente e rispettosa della mia professionalità”.

Medici, infermieri e fisioterapisti demotivati, affaticati, disaffezionati, scoraggiati dalla organizzazione aziendale e dall’altra parte attratti, richiamati, richiesti, invitati, calamitati da aziende private intra o extra regionali. 

Con il Collega Dallapiccola Michele abbiamo depositato un’interrogazione perché ci vengano forniti i numeri e i motivi delle richieste di dimissione . Vai al link

Perché tutto questo? Dal 2018  la Giunta provinciale ha improvvisato una politica il cui obiettivo era quello del cambiamento senza ben specificare cosa avrebbero voluto cambiare. 

Oggi sta  a noi dichiarare quale è stato l’obiettivo del cambiamento: portare il sistema sanitario da pubblico, come fortemente voluto e mantenuto dalla politica che aveva governato fino al 2018,  a privato introdotto dalla Lega che delle leve dell’autonomia ha poca dimestichezza. 

Ovviamente oltre a incanalarsi nel solco del privato il sistema sanitario sta implodendo in quanto la forbice tra domanda e risposta è ampissima con tempi di attesa dilatatissimi e l’esigenza dell’utente di rivolgersi fuori provincia, attivando così la mobilità attiva, che non è compensata da quella passiva, perchè abbiamo ben poco di peculiare da offrire all’utenza che viene da fuori regione. 

E quindi come affronteremo il futuro?

La Direzione Generale arranca nel buio senza idee e  mandati chiari  a lungo termine. Cerca di contrattare con scarso successo alcuni big che stanno scegliendo di abbandonare APSS. L’offerta non è però appetibile e la credibilità del successo aziendale è nulla. 

La Direzione una ne pensa e due ne sbaglia perché la confusione regna sovrana : ruoli non riconosciuti, strategie fallimentari, riconoscimenti inesistenti. Purtroppo manco la Federazione dei Direttori riuscirà a scomodare lo staff di Direzione per interloquire con gli stessi.

Ed è lo stesso Staff che cerca di rassicurare tutti dicendo che le dimissioni non sono un problema perchè è storia, peccato che questa sia una storia con un brutto finale: caro cittadino tutela da solo la tua salute!

26 Luglio 2022 0 Commenti
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Mi corre l’obbligo di apprezzare chi ha deciso di non appiattirsi sulla linea politica che ha sfiduciato il governo Draghi

Da Paola Demagri 21 Luglio 2022

Prendere le distanze dal proprio partito per il bene della nazione è un atto forte e coraggioso . E’ un atto figlio di un pensiero critico che si propone di raggiungere un giudizio attraverso processi di analisi, valutazioni e considerazioni.

Fiducia, onestà ,competenza, verità, valori, democrazia sono espressioni che hanno accompagnato il lavoro del Premier Draghi in questa difficile legislatura ed oggi espressioni duramente criticate da parte di una destra che delle sorti dell’Italia ritiene di non assumersi responsabilità e si assume invece il compito di mandare la nazione nel baratro. 

Il Premier ha invocato, in questi ultimi giorni di decantazione, di poter proseguire su un patto di fiducia tra  partiti verso i  quali gli italiani hanno riposto la loro fiducia. Ma come un ritornello la Lega e il centro destra invocano il cambiamento e vanno quindi in cerca di qualcosa di nuovo. Draghi che non aveva alcuna intenzione di fare l’equilibrista rimane fermo e risoluto sulla sua posizione di Persona di maggior prestigio che ha fatto di tutto per risollevare il Bel Paese e prosegue quindi con le dimissioni e successivo scioglimento delle Camere da parte di Mattarella. 

Ci si  avvia quindi ad una nuova legislatura nel periodo più difficile e complicato che l’Italia abbia passato. Gli italiani sono sconfortati, preoccupati, disaffezionati e lontani dalla politica. Con  Draghi avevamo intravisto la possibilità di ottenere una svolta verso un futuro migliore, certo, fiorente e invece il buio si è fatto fitto. 

Potrà nascere un nuovo giorno?

E’ d’obbligo che dopo una notte nasca una nuova alba che apra le porte al giorno ma i presupposti sono incerti. Scelte forti e personali come quelle di chi sta lasciando i partiti irresponsabili saranno apprezzate e forse invocate.

Mi corre l’obbligo di apprezzare il gesto di chi ieri ha deciso di non appiattirsi  sulla linea politica di quel Salvini ( e compagnia cantante e dirompente ) che forse è arrivato in fondo al barile e sta già raschiando il fondo.

Cara Italia spera per te e per tutti NOI che la storia si ripeta “Fiducia, onestà ,competenza, verità, valori, dignità, coerenza, democrazia” che siano  espressioni  sempre valide da affidare al  Premier che dovrà prendersi cura dell’Italia e degli italiani.

21 Luglio 2022 0 Commenti
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Le proposte del PATT per colmare i vuoti lasciati dalla Giunta leghista

Da Paola Demagri 20 Luglio 2022

Nei prossimi giorni il lavoro politico-istituzionale dei Consiglieri Provinciali  si svolgerà in aula per affrontare la Legge di assestamento di bilancio strumento giuridico-contabile destinato ad aggiornare il bilancio di previsione della PAT.

Gli aggiustamenti sul bilancio sono necessari a seguito di eventi economici sopravvenuti dopo l’approvazione del bilancio di previsione. 

É bene però ribadire che tale Legge non é riconducibile ad un mero esercizio contabile ma prima di tutto é uno strumento politico. Ma se il Consiglio Provinciale rappresenta l’apparato democratico dei trentini é normale pensare che anche le Leggi votate rappresentino la democrazia . 

Per tale motivo in questi giorni con il collega Michele Dallapiccola abbiamo predisposto degli emendamenti e Ordini del Giorno  che possano migliorare il disegno di Legge come base su cui lavorare ed occuparci di quelle attività o situazioni che la Lega  non ha interessi a considerare.

Per vostra conoscenza e approfondimento elenco qui di seguito gli argomenti che abbiamo voluto toccare attraverso l’attività politica del PATT che usa le leve dell’autonomia 

  • In ambito sanitario il bonus Covid riteniamo che debba essere assegnato a tutti gli operatori delle RSA e non solo per i dipendenti dell’Azienda Sanitaria; 
  • il pagamento degli straordinari del personale delle RSA non può pesare sui bilanci delle Strutture già ampiamente penalizzati; 
  • se vogliamo garantire ai nostri turisti sentieri di montagna sicuri questi vanno manutentati con appositi fondi da assegnare alla SAT;
  •  il nostro impegno é rivolto anche alla prevenzione delle dipendenze evitando ostacoli politici pericolosi che inibiscano l’approvazione della Legge del 2015; 
  • la Giunta spinge fortemente perché tutti e ad ogni età pratichino sport per un sano stile di vita. Peccato che non tengano in considerazione che solo 6 enti gestori trentini di piscine non abbiano ottenuto un contributo provinciale per colmare le perdite della chiusura per la pandemia. Noi chiederemo di evitare trattamenti di serie A e serie B. 
  • Non faremo mancare il sostegno al settore zootecnico ovinicolo per concedere aiuti per contrastare la diffusione della Scrapie e per garantire rifugi in legno per i pastori che pascolano in montagna che devono proteggere i loro greggi dal lupo attraverso un presidio attivo e in sicurezza.

Quello che riusciremo a far approvare ancora non lo sappiamo ma l’impegno politico-istituzionale sarà la prerogativa perché ogni singolo atto arrivi a buon fine e ne possano giovare i trentini indipendentemente da chi abbiano votato.

20 Luglio 2022 0 Commenti
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L’invecchiamento della popolazione e la carenza di servizi 

Da Paola Demagri 18 Luglio 2022

L’invecchiamento della popolazione è una caratteristica della nostra società. Questo è per effetto  dell’aumento dell’età media a sua volta generata dalle migliori condizioni di vita e dal progresso della medicina. Va però detto che un’ampia fascia di popolazione anziana  perde  nel tempo  capacità e autonomia. 

Questa situazione demografica richiede un maggior bisogno di prestazioni sociali e sanitarie. Per questo motivo è necessario che le politiche sociali dedichino particolari interventi a favore degli anziani  e delle persone con fragilità che rappresentano situazioni di cronicità, disabilità, non autosufficienza. A questo si aggiunge la modifica dei nuclei familiari oggi fortemente in difficoltà ad assistere in forma diretta l’anziano. 

Per far fronte alle necessità degli anziani è fondamentale l’attivazione di più servizi che si raccordino   tra di loro mettendo al centro di ogni decisione la persona , i suoi bisogni e il nucleo familiare di appartenenza.  Tali servizi non sempre bastano a garantire forme  di integrazione, di solidarietà, al fine di evitare situazioni di isolamento e solitudine nonché di abbandono. Per questo pensiamo all’utilità di avere sul territorio gli Infermieri di Famiglia e di Comunità , figure cardine per il buon funzionamento anche della medicina preventiva, Anticipare l’insorgere di bisogni deve essere una prerogativa dell’agire infermieristico.

Le politiche sociali trentine negli anni anni hanno implementato tutta una gamma di servizi:  servizi domiciliari, RSA, centri diurni, centri residenziali che oggi non sono più sufficienti a rispondere ai bisogni. La forbice tra la domanda e la risposta si è amplificata  enormemente soprattutto dopo la pandemia.

La medicina territoriale è oggi quella più complicata è carente dal punto di vista sia di percorsi che di risorse umane. Vi sono enormi difficoltà a procedere per l’ingresso definitivo in una struttura residenziale, giorni di attesa per accedere agli Hospice e difficoltà ad ottenere servizi domiciliari distribuiti 7 giorni su 7 o altre formule di presa in carico della persona anziana. 

La medicina territoriale va ripensata tenendo presente il cambio demografico, l’insufficienza di servizi, il cambio di paradigma sociale orientando le scelte politiche al raggiungimento del benessere della persona e della comunità.

Le Case della Comunità potranno essere un modello qualificante le capacità di welfare della comunità solo se non diventeranno il travaso di prestazioni e specialisti dall’ospedale o dai poliambulatori già presenti sul territorio.

Questa Giunta leghista ha colto la ghiotta occasione di impegnare le risorse del PNRR in 10 case della Comunità con indicato dal DM 77 ma non ha saputo fare un minimo sforzo di progettare il “chi e che cosa” troveranno ospitalità dentro le Case. 

La questione va affrontata con urgenza e con soluzioni a breve termine ma con una tenuta di programma a lungo termine attraverso soluzioni tecnico-politiche che guardino al benessere e alla persona.

18 Luglio 2022 0 Commenti
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Gli Alpini in festa nelle proprie comunità

Da Paola Demagri 17 Luglio 2022

Due anni di commemorazioni e festeggiamenti sospesi, per tutti i gruppi Alpini del Trentino che hanno invece trovato in questa calda estate la volontà e il desiderio di coinvolgere nuovamente  le loro comunità. Ogni fine settimana una o più feste per  anniversari  organizzate nelle nostre valli con  la partecipazione della comunità e degli amministratori che è tanto gradita.

Ammassamento, alzabandiera, sfilata, commemorazione ai caduti, banda , fanfara , messa e rancio sono in tutti programmi. Una grande festa per tutti!

Le feste sono eventi che segnano anche quella sorta di ripresa associativa e tanto hanno tutti pazientemente atteso per tantissimi mesi soffrendo lungamente la mancanza della socializzazione, della collaborazione, della solidarietà.

A dirla tutta e a onor del vero  gli Alpini questi due anni, non sono mai stati fermi o inoperosi. Ogni singolo Alpino, ogni gruppo ha offerto il suo  generoso tempo per aiutare  i cittadini nei momenti più critici . Hanno distribuito mascherine, allestito tende da campo davanti agli ospedali, hanno gestito le code durante il periodo delle vaccinazioni, hanno fatto il triage negli ospedali, insomma sono stati impegnati a far fronte ai problemi generati dalla pandemia. 

Festeggiare gli anniversari  evidenzia la necessità di esprimere il radicamento che i gruppi degli Alpini hanno sul proprio territorio e  chiedono di mantenere  il riconoscimento del ruolo e della collocazione nella società che hanno raggiunto negli anni. 

Gli alpini sono per la nostra comunità una presenza forte che si manifesta nelle occasioni più significative. nelle feste, nelle difficoltà, nelle tragedie nei momenti in cui si ha bisogno di conforto di aiuto, di sostegno e sempre fatto tutto gratuitamente. Siamo abituati a vedere le penne tra le nostre strade in mezzo alle varie iniziative e questi Alpini con atto,trasporto e devozione portano pace, solidarietà, aiuto, professionalità e danno la garanzia di esserci sempre. 

17 Luglio 2022 0 Commenti
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