Paola Demagri
di Luigi Panizza
Ho letto oggi su questo giornale la risposta del segretario del PATT (termine improprio) all’intervento fatto dall’ex Presidente della Provincia Carlo Andreotti. Sorvolo per quanto riguarda il dibattito sull’Autonomia. Sappiamo che questa c’è e per cambiarla o peggio perderla l’iter legislativo per farlo è molto lungo e talmente complicato che ci vogliono anni ed al momento non c’è nessuna iniziativa in merito. Piuttosto è nostro compito e dovere esercitarla ed esercitarla bene nell’interesse di tutta la Comunità Trentina ovvero per il bene comune.
E’ in questa direzione che deve operare chi rappresenta la Comunità sia politicamente che amministrativamente. Sappiamo che il PATT ha scelto di far parte della Maggioranza Provinciale attuale in contraddizione con parte dei principi e valori etici dello Statuto. Andreotti nel suo intervento ricorda che il PATT “è ancorato laicamente alla dottrina sociale della Chiesa” . Se così è come mai il PATT ha stretto un’alleanza proprio con forze politiche che contraddicono e calpestano la dottrina sociale della Chiesa con il loro comportamento verso gli immigrati? E questo è dimostrato al lato pratico dall’abolizione dell’accoglienza diffusa e la riduzione degli aiuti alle associazioni di volontariato per le opere che realizzano sui territori d’origine degli immigrati. Altro che aiutarli a casa loro perché non siano tentati di emigrare. E la dottrina sociale della Chiesa allora che fine ha fatto?
Il Papa in questi giorni nell’intervista televisiva “Che tempo che fa” a Fazio che gli chiedeva cosa ne pensasse dei provvedimenti di Trump di rimandare in Messico tutti gli immigrati irregolari, il Papa ha risposto che “questa è una disgrazia”. E questo vale non solo per gli Stati Uniti, ma per tutto il Mondo, compresa l’Italia. E chi tira in ballo impropriamente la parola Dio deve sapere che non si può pronunciare il nome di Dio invano. E sull’argomento nel Vangelo c’è scritto “ero forestiero e mi avete ospitato”. Questa è la dottrina sociale della Chiesa. E non è questa linea che adotta la Maggioranza Provinciale in carica. Come mai allora il PATT non fa opposizione alla linea razzista del Governo Provinciale del quale fa parte? Il segretario , leggo, rigetta fermamente l’accusa di subalternità al vincitore di turno. Il segretario afferma ancora che si è alleato con Fugatti sulla base di una precisa visione e sulla possibilità di incidere sulle scelte”.
Ma ciò che sta accadendo è proprio il contrario di quello che dovrebbe volere il PATT, e il PATT non dice nulla. Quale può essere allora l’amara conclusione se non che il PATT, come dice Andreotti, “ si è messo a servizio del vincitore e per la consigliera De Magri che il PATT è diventato “un partito populista” che è sinonimo di opportunista? Altro che ideali, principi e valori che erano il fondamento e la base del defunto Partito Autonomista Trentino Tirolese”. Piuttosto che parlare alla pancia è più nobile e umano parlare all’intelligenza e al cuore anche se questo comporta delle rinunce. Rimane sempre vero quello che ha detto Degasperi che chi ha responsabilità politiche “bisogna che pensi prima alle future generazioni e non alle future elezioni”. Agli autonomisti che parteciperanno al Congresso del PATT in febbraio dico che se tutto si esaurirà in una prova di forza interna e basta, con i dissidenti isolati, nulla cambierà e le speranze di riunificazione con un cambiamento di rotta rimarranno pii desideri.
Luigi Panizza
Ex assessore e componente “Casa Autonomia E.U.
Ormai, dopo gli interventi fatti in questi giorni sulla stampa, possiamo dire che sugli immigrati si giuoca (se giuoco si può chiamare) a carte scoperte. Diversi sindaci di varie località, sparse in Trentino, hanno dichiarato che l’accoglienza diffusa per iniziativa comunale esiste e continua. Quindi non è vero, come dice il Presidente Fugatti che “durante i sette anni della mia presidenza non ho ricevuto nessuna disponibilità di sindaci del Trentino a ricevere quote di migranti….la verità è che l’accoglienza non la vuole nessuno”. Questa ultima affermazione è contraddetta dai fatti documentati perchè ci sarebbero già 18 comuni disponibili “come dice il Centro Astalli”.
Piuttosto c’è da dire che l’accoglienza diffusa, dove dipendeva dalla Provincia, è stata cancellata dal 2018 dall’allora Maggioranza con Presidente Fugatti, e di conseguenza gli immigrati sono stati concentrati al Centro con tutte le conseguenze negative che tutti conosciamo. Non si poteva lasciare gli immigrati dov’erano? Personalmente sono testimone diretto di quelli che erano alla palazzina dell’Enel di Peio. Stavano bene ed a un certo punto la Provincia, come per tutti gli altri centri di accoglienza sparsi nelle Valli, d’autorità è intervenuta con la soppressione.
Pertanto si abbia il coraggio di dire “gli immigrati non li vogliamo”. Ma questa volontà è contraddetta ormai dalle prese di posizioni di diverse realtà economiche e sociali. E’ voce quasi unanime che bisogna ritornare all’accoglienza diffusa se non per motivi umanitari almeno per convenienza visto il grande bisogno di manodopera di provenienza straniera. Quindi è urgente ed indispensabile il cambiamento di rotta da parte della politica provinciale in merito all’accoglienza degli immigrati. Sono tutti d’accordo nella Maggioranza di continuare nella linea dura attuale? E chi non è d’accordo non può farsi sentire? Chi vuol essere veramente cristiano deve sapere che la scelta attuale certo non la vuole la Chiesa alla quale si dice di appartenere, ma non la vuole neppure la società civile responsabile e sensibile ai problemi umani. Chi si vuol rappresentare allora? L’egoismo o la solidarietà per non parlare anche di interesse? Ad ognuno la libera scelta. E non si può nascondersi dietro a un dito. Bisogna cambiare motto: passare dal come respingere al come accogliere.
Purtroppo l’immigrato da qualcuno è visto e trattato come un lebbroso. Questi deve stare alla larga, disturba la nostra quiete, respingiamolo. In troppi prevale l’atteggiamento del: godiamoci da soli il nostro benessere, magari frutto delle fatiche degli sfruttati guardati dall’alto in basso anche se dobbiamo ammettere che nei rapporti di lavoro tante cose sono cambiate e ci sono datori di lavoro corretti e responsabili. Menomale quindi che accanto a tanto egoismo c’è ancora tanto altruismo, tanta solidarietà, tanta gente che si dedica agli altri, che vuole bene a chi ne ha di bisogno, che pensa a certe mamme, a tanti bambini, a tanti anziani, a tanti uomini che vogliono solo guadagnarsi il pane quotidiano, quel pane che nel Padre Nostro chiediamo al plurale e non al singolare (…dacci oggi il nostro pane quotidiano…). Ad ognuno fare la scelta da che parte stare. Ed è una scelta che fa tremare le vene e i polsi per la grande responsabilità morale che comporta, in particolare per un credente cristiano. Infatti è’ scritto nel Vangelo che saremo giudicati soprattutto da questo: “avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero ignudo e mi hai vestito ecc…”
Quando penso a quanto ho visto in Africa in tanti anni e viaggi e so il perché tante persone, a proprio rischio e pericolo, lasciano con tanta sofferenza la loro terra, mi chiedo perché c’è tanto rifiuto ed anche disprezzo nei confronti di questi nostri fratelli che non hanno nessuna colpa per essere nati nella miseria, come noi non abbiamo nessun merito per essere nati in un certo benessere? E pensare quanto sono stati sfruttati e lo sono ancora dal mondo ricco! A noi la responsabilità di collocarci al posto giusto e contribuire per ristabilire quella uguaglianza e giustizia che sono la base per garantire una serena e pacifica convivenza umana.
Luigi Panizza ex assessore provinciale e componente “Casa e Autonomia E.U.”
Oggi una delegazione di consiglieri e consigliere provinciali di minoranza dell’Alleanza Democratica Autonomista (Valduga, Manica, Demagri, Coppola, Calzà, Maule, Parolari, Zanella), assieme ai consiglieri del Comune di Trento Lenzi e Zappini e all’avvocato Valcanover, è stata in visita alla Casa circondariale di Spini di Gardolo.
Obiettivo della visita è stato semplicemente quello di scambiarsi gli auguri per le feste natalizie con le persone recluse e di manifestare loro vicinanza in un momento in cui la privazione della libertà e la lontananza dagli affetti si fa particolarmente sentire.
In un contesto politico sempre più intriso di populismo penale, in un contesto anche provinciale in cui le carceri sono sempre più affollate (a Trento sui 240 posti previsti sono presenti 364 detenuti, di cui 318 uomini e 46 donne), in un sistema penitenziario in cui il numero di suicidi è in continuo aumento (tra i detenuti, ma anche tra gli appartenenti alla polizia penitenziaria), in un contesto complessivo nel quale l’esecuzione della pena intramuraria risponde in modo del tutto marginale al dettato rieducativo previsto dalla nostra Costituzione, abbiamo deciso di limitarci alla visita alle celle (senza passare dal reparto sanitario, area trattamentale, …) per raccogliere dalla viva voce delle persone detenute vissuti, disagi e problemi.
Innanzitutto segnaliamo le condizioni detentive delle celle d’isolamento, particolarmente fredde (ci viene riferito che il riscaldamento funziona solo di sera/notte), dove abbiamo trovato una persona reclusa con evidenti alterazioni psichiche, che dovrebbe essere collocata altrove (nella REMS, oggi piena), ma non assolutamente in un contesto d’isolamento chè è inadatto a una gestione dignitosa del suo disagio.
Peraltro, alcune altre criticità ci sono state segnalate in modo ricorrente direttamente dalle testimonianze di uomini e donne detenuti/e.
Innanzitutto la carenza di opportunità lavorative e quindi rieducative: molti o non lavorano, aspettando il proprio turno rispetto alle insufficienti attività disponibili, oppure lavorano solo tre ore al giorno. Riferiscono inoltre di percepire arbitrarietà nei criteri di assegnazione delle opportunità lavorative.
Poi il permanere di ritardi nella stesura delle sintesi (relazione dopo un periodo di osservazione), nonostante l’organico dei funzionari giuridico pedagogici (educatori) sia passato da due a sette da qualche mese. Questo si pone come particolare fattore afflittivo poiché nei fatti determina un oggettivo ostacolo alla richiesta di permessi e misure alternative.
Altra questione relativa al rapporto con la Magistratura di sorveglianza che ci è stata segnalata da un numero significativo di persone recluse sarebbe quella dei ritardi – che diventano per i richiedenti estenuanti – per ottenere una risposta rispetto alle richieste di permessi e di misure alternative. Ritardi con frequenza correlati anche ai tempi di attesa dovuti ai ricorsi avverso i dinieghi del Magistrato di sorveglianza. Si consideri come per questo Natale solo 7 su 364 detenuti/e abbia effettivamente ottenuto un permesso.
Tutte criticità importanti, assieme alla già nota carenza di personale di polizia penitenzia, sovraccarico di lavoro e che necessiterebbe anch’esso di supporto psicologico, criticità che ostacolano il percorso rieducativo di chi sta in carcere e che riporteremo prontamente al nuovo Garante dei diritti dei detenuti, dott. Pavarin.
Sin dalle prime settimane di questo 2024 un gruppo spontaneo di cittadini di Cles impegnati nei campi professionali e di volontariato più disparati si sono incontrati poiché accomunati dal desiderio di predisporre una proposta amministrativa alternativa alla guida del Comune di Cles.
Le elezioni comunali si terranno il prossimo 4 maggio 2025, al termine di un decennio guidato dall’attuale, stessa amministrazione comunale. La proposta è dunque quella di un’alternativa che possa sostituirla partendo dal basso, in modo partecipativo.
Lo testimonia Elia Bettelli, referente delle Liste Civiche e coordinatore dei lavori: “Quando siamo partiti a gennaio per incontrarci e provare a proiettare il nostro pensiero verso il futuro, ci eravamo dati degli obiettivi: essere innovativi, inclusivi, coinvolgenti per un nuovo modo di fare politica e rappresentare l’Amministrazione. In quel primo step ci siamo riusciti, il feedback è positivo.”
Così è nata l’Operazione Ascolto, una serie di otto serate che ha coinvolto tutte le aree di Cles, identificate e riconosciute come rioni, i cuori pulsanti e recettivi del Capoluogo di vallata.
Chi ha gestito in prima persona gli incontri può trasmettere in termini molto chiari lo spirito ed il senso dell’iniziativa. A tal proposito, ad esempio, Massimiliano Stringari, commerciante ha dichiarato: “Il metodo partecipativo è stato molto impegnativo, ma ci ha permesso di ascoltare tutte le voci. E’ un compito che porteremo avanti e sarà uno degli strumenti che ci consentirà di ridurre la forbice tra amministrazione e cittadini, che ora è fin troppo ampia.”
Lorenza Pilloni, insegnante aggiunge: “Dalle serate sono nate disponibilità anche a costruire le liste, intendo candidati che hanno apprezzato il nostro progetto.” Infine Roberto Lorengo, tecnico telecomunicazioni: “Sono un grande sostenitore della staffetta generazionale ed è per questo che mi sono appassionato a questo percorso. È un modello che prevede adesione, collaborazione, compartecipazione e responsabilità. Un nuovo modo di fare politica amministrativa per la comunità clesiana. Ai nostri cittadini interessa? Pare proprio di sì, perché ci hanno chiesto di riproporre altre serate, altri incontri, e soprattutto hanno chiesto di farlo successivamente, se saremo i futuri amministratori del comune.”
Le serate sono dunque diventate un nuovo metodo per provare a crescere insieme.
Ai convenuti è stato chiesto di indossare occhiali e abiti diversi dai propri, di guardare al futuro, non solo ai sogni, ma alle idee concretizzabili per una Cles migliore. Una Città che diventi più interessante per residenti, lavoratori, turisti e per chi la sceglie come meta di passaggio o di sosta.
Gli incontri si sono caratterizzati per grande numero di presenze, disponibilità a un dibattito aperto e costruttivo e rispetto reciproco. Sono state affrontate le tematiche complesse che più nei cittadini suscitano disagio e perplessità anche riguardo alle scelte amministrative fatte finora. Quanto emerso è stato trascritto e, alla fine di ogni serata, riproposto al pubblico per verifica. Il Gruppo di ascolto ha elaborato le indicazioni raccolte in un testo che costituirà la base del prossimo programma politico comunale redatto proprio a partire dai dati di “sentimento” collettivo. Tra gli intervenuti, ad esempio, è diffusa una sensazione di trascuratezza, di spazi pubblici poco curati, di verde urbano gestito male, nonostante l’estetica generale del paese ne abbia bisogno. I cittadini considerano il loro rapporto con il Comune come un bisogno importante che l’attuale amministrazione restituisce in maniera piuttosto insoddisfacente. Avvertono l’assenza di un senso di appartenenza ad una specifica comunità. Sorprendentemente, lamentano la decadenza di aggregazione e sviluppo della socialità, nonostante le numerose associazioni e volontari presenti in paese. Non mancano poi le preoccupazioni legate alla viabilità, all’intermodalità, al commercio in sofferenza e a una Cles che appare poco attrattiva. C’è infine necessità di dare maggiore importanza allo sport e al tempo libero e ai servizi di conciliazione, soprattutto per una nuova manodopera necessaria per alcune attività locali fondamentali per la nostra economia.
Queste sono alcune delle questioni che affliggono i cittadini e per le quali è richiesto un cambio di passo.
Prossimi step? Sono già iniziati gli incontri con i rappresentanti di categoria e già fissati anche quelli con società sportive, commercianti, agricoltura, volontariato e artigianato. Per ulteriori momenti di confronto, il gruppo promotore dell’Operazione Ascolto rimarrà a disposizione anche in modalità digitale all’indirizzo telematico innoviamocles@gmail.com.
Il futuro di Cles parte da tutti noi – insieme – per costruire una comunità più forte e inclusiva.
Dopo due giorni di intense trattative con la Giunta, le minoranze hanno ottenuto innanzitutto il ritiro dell’emendamento sul transito di mezzi a motore sui demani sciabili e quello sul transito sulle strade di arroccamento per la caccia al cervo.
L’Alleanza Democratica Autonomista può dirsi soddisfatta della chiusura dell’accordo con la Giunta che ha visto riconosciute diverse proposte, alcune riformulate:
conciliazione familiare:
aumentata a 0,50 la soglia ICEF per l’accesso ai buoni di servizio per servizi di conciliazione (1,2 milioni/anno);
ampliamento dei requisiti di accesso al supporto delle libero professioniste in maternità (500.000 euro/anno);
natalità:
reso strutturale l’assegno di natalità per i figli fino ai tre anni (6.975.000 euro/anno a regime);
sanità:
borse di studio integrativa per tutti i posti banditi alla Scuola di Medicina generale, anche per i non residenti, come misura di attrattività, vista la carenza di iscrizioni. Istituite altre cinque borse integrative per trentini iscritti fuori Regione. Tutte le borse vincolate ad esercitare per due anni in Trentino (a regime 990.000 euro/anno);
casa:
nella revisione del regolamento dell’edilizia abitativa pubblica si terrà conto dell’incremento del costo della vita rispetto agli incrementi salariali ed entro marzo si presenteranno al Comitato provinciale sulla condizione abitativa le direttrici di riforma del regolamento (odg).

Alleanza democratica Autonomista
intervento di Luigi Panizza
Ho letto in questi giorni sui vari mezzi di comunicazione che l’assessore all’istruzione Gerosa con l’anno scolastico 2025-2026 vuole istituire nei vari Istituti Scolastici una nuova figura scolastica che si chiamerebbe FaBER cioè “Facilitatore del Benessere Emotivo e Relazionale” che avrebbe il compito appunto di “promuovere il benessere emotivo e relazionale degli studenti, favorendo resilienza, apprendimento e relazioni positive”. Premesso tutto questo mi permetto da ex insegnante e preside di Scuola Media di fare alcune considerazioni.
Che sia in atto e diffuso un disagio giovanile preoccupante lo dimostrano i fatti e le cronache oltre ai rilievi concreti fatti dal personale direttivo e docente della Scuola e dai genitori stessi. Prenderne atto è senz’altro doveroso, ma non basta. Come per analogia con la salute fisica è importante prendere atto del disturbo fisico che si fa sentire e quindi andare dal medico che prescrive la cura e nello stesso tempo cerca di individuare le possibili cause perché il disturbo, o la malattia non si ripetano, Così si dovrebbe fare con i disturbi psicologici giovanili. E’ giusto intervenire tempestivamente.
Ma chi? Chi può essere il competente nella scuola? Come non ci si improvvisa medico così non ci si improvvisa “FaBER”. Si può con 27 ore di corso, come prevederebbe la legge, diventare esperti per assumere ruoli e competenze che richiedono anni di studio e preparazione? Se posso continuare con l’analogia di cui sopra sarebbe come affidare il compito dell’intervento per la salute fisica ad un improvvisato guaritore. Il pericolo è quello di causare più danni che ottenere vantaggi. Infatti, se chi si sottovaluta non sfrutta a sufficienza le proprie capacità e competenze, ma chi si sopravvaluta corre il pericolo di fare danni o per lo meno di non raggiungere gli obiettivi che si propone. Pensando all’eccezionale importanza e delicatezza del problema del disagio giovanile odierno a maggior ragione vanno ricercati strumenti e mezzi adeguati, non certo con 27 ore di corso. Anche la nuova assessora all’Istruzione vuol realizzare nell’ambito educativo- psicologico quanto non è riuscito a realizzare in altri ambiti (esperto, ricercatore, delegato all’organizzazione) il suo predecessore. Si sta ripetendo, pedissequamente, ciò che è già accaduto. Se è lodevole porre il problema e cercarne la soluzione, ritengo tuttavia, troppo superficiale e inadeguato, lo strumento proposto per affrontarlo. Piuttosto che sprecare il denaro nella proposta in corso ritengo più utile coinvolgere genitori e docenti con esperti psicologi e pedagogisti per sensibilizzare sulla problematica ed individuare mezzi e strumenti, il più possibile adeguati, alla complessità ed importanza del problema. Qualora si insistesse sulla nuova figura, che si vuole istituire, ci sono gli specialisti del settore che sono gli psicologi. Ad ognuno la sua competenza per raggiungere gli obiettivi che si vogliono realizzare.
La preoccupazione deve essere quella di far le cose, sì, prima possibile, ma anche perbene, e dopo aver seguito un percorso che possa garantire il successo con le persone giuste. E non è certo male dopo aver individuato, come per l’ammalato la cura, ricercare anche le cause di quanto sta accadendo. E’ certo che i nati in questi anni non sono diversi dai nati precedentemente. Non si nasce col disagio, il disagio nasce e trova il suo terreno fertile soprattutto nelle esperienze negative che fanno i disagiati o le disagiate nell’ambito familiare e, o, nel contesto sociale.
La crisi di valori, principi ed ideali offre un terreno favorevole alla nascita del disagio giovanile. Il tutto e subito, i modelli negativi offerti dai mezzi di comunicazione non concorrono certo a rafforzare il carattere della persona per affrontare le inevitabili difficoltà che la vita riserva ad ognuno, già in età giovanile. Concludo consigliando l’assessora Gerosa a riflettere su quanto hanno detto in questo periodo persone competenti che dissentono da quanto l’assessora va proponendo. L’innovazione non è di per sé migliorativa, ma può essere anche peggiorativa, anche se, in tal caso, non è certamente nelle buone intenzioni di chi la propone. Tanto ho scritto, non certo per motivi politici, ma solo per contribuire al bene degli utenti della scuola.
Che l’insoddisfazione verso il servizio sanitario locale regni sovrana, è fatto notorio. Sembra quasi che l’Autonomia statutaria della quale siamo dotati nulla abbia potuto contro un declino sempre più palese. Da qualche anno, la situazione sembra piuttosto peggiorare. Nemmeno il ricorso ai privati, nel tentativo di recuperare liste d’attesa drammaticamente inevase, ha dato i risultati sperati.
Nel frattempo, tuttavia, il sistema medico non è rimasto a guardare cercando da sempre comunque, di adottare le migliori pratiche che la comunità scientifica internazionale mette a nostra disposizione. Un esempio tra tutti: si tratta di un nuovo metodo per gestire la riabilitazione post-operatoria di protesi totale al ginocchio. Nonostante la cronaca abbia rilevato qualche lieve preoccupazione di natura politica, la scienza può senz’altro affermare che le scelte attuali in materia di riabilitazione sono il risultato di analisi approfondite e di evidenze consolidate e non certo di una mera riduzione dei servizi disponibili.
Il passaggio verso un modello di riabilitazione ambulatoriale non rappresenta una diminuzione della qualità dell’assistenza, ma un tentativo di rispondere in modo più efficiente alle esigenze di un sistema sanitario in evoluzione. Le ricerche dimostrano infatti che la riabilitazione ambulatoriale può essere altrettanto efficace, se non di più, rispetto alla riabilitazione in degenza, specialmente per pazienti con condizioni generali favorevoli e un adeguato supporto sociale. Questo approccio consente di liberare risorse ospedaliere per i pazienti che necessitano di cure più intensive, contribuendo a un utilizzo più equo e sostenibile delle risorse sanitarie.
Inoltre, l’adozione di un modello riabilitativo “esterno” permette di soddisfare con maggiore rapidità la crescente domanda di interventi protesici, un’esigenza in costante aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione e della maggiore attività fisica. Questo approccio non solo migliora l’efficienza del sistema sanitario, ma consente anche ai pazienti di ricevere cure in tempi più brevi, garantendo un recupero più rapido. La riduzione della degenza in ambienti promiscui contribuisce inoltre a diminuire il rischio di infezioni nosocomiali complicanze legate all’ospedalizzazione.
La riabilitazione ambulatoriale, studi alla mano, offre risultati migliori in termini di soddisfazione del paziente e suo recupero funzionale rispetto alla riabilitazione in degenza (Vogt et al., 2020; Kellett et al., 2019; Ustead et al., 2020).
Certo, è essenziale che i pazienti siano informati sulle potenzialità di queste nuove modalità di intervento, con un sistema di assistenza ben strutturato. Le sedute devono essere tempestive e in numero adattabile alle necessità specifiche dei pazienti.
Da questo esempio ben si comprende perché le politiche sanitarie debbano basarsi su un’analisi costante delle evidenze e delle migliori pratiche, piuttosto che su un confronto diretto con altre regioni, che potrebbero avere invece caratteristiche demografiche e sanitarie diverse. Le decisioni devono essere guidate da un principio di equità nell’accesso alle cure. La riorganizzazione dei servizi, specie facendo ricorso alle prerogative della nostra Autonomia, deve essere vista come un’opportunità per migliorare l’assistenza, integrando innovazioni e rispondendo alle esigenze di un sistema in evoluzione. Solo attraverso un dialogo aperto e collaborativo tra gli attori del sistema sanitario, i professionisti e i cittadini è possibile garantire che le scelte siano realmente al servizio della popolazione.
Il caso dunque di un cambio di approccio alla riabilitazione post-operatoria è almeno una prima piccola risposta ai mille quesiti che il Trentino deve porre alla nuova Sanita post Covid. L’obiettivo deve essere quello di un livello adeguato di cura, integrando innovazioni e rispondendo alle esigenze di un sistema in evoluzione. Solo attraverso un approccio informato e collaborativo è possibile garantire il miglioramento della salute e del benessere dei cittadini. Da qui si evince che il ricorso al privato o la costruzione di una nuova struttura ospedaliera a nulla serviranno se non supportate dall’ascolto di una classe medica sempre attenta e propositiva – verso politica e cittadini – di nuovi modelli di cura e approccio alle patologie. Che la politica ascolti e agisca di conseguenza, che i cittadini siano più attenti a scegliere una classe politica adeguata.
Consigliera Provinciale Casaautonomia.eu
Paola Demagri
Ricorso al privato, Sanità 4.0 e NOT, basteranno a colmare le precarietà del sistema sanitario trentino?
Che l’insoddisfazione verso il servizio sanitario locale regni sovrana, è fatto notorio. Sembra quasi che l’Autonomia statutaria della quale siamo dotati nulla abbia potuto contro un declino sempre più palese. Da qualche anno, la situazione sembra piuttosto peggiorare. Nemmeno il ricorso ai privati, nel tentativo di recuperare liste d’attesa drammaticamente inevase, ha dato i risultati sperati.
Nel frattempo, tuttavia, il sistema medico non è rimasto a guardare cercando da sempre comunque, di adottare le migliori pratiche che la comunità scientifica internazionale mette a nostra disposizione. Un esempio tra tutti: si tratta di un nuovo metodo per gestire la riabilitazione post-operatoria di protesi totale al ginocchio. Nonostante la cronaca abbia rilevato qualche lieve preoccupazione di natura politica, la scienza può senz’altro affermare che le scelte attuali in materia di riabilitazione sono il risultato di analisi approfondite e di evidenze consolidate e non certo di una mera riduzione dei servizi disponibili.
Il passaggio verso un modello di riabilitazione ambulatoriale non rappresenta una diminuzione della qualità dell’assistenza, ma un tentativo di rispondere in modo più efficiente alle esigenze di un sistema sanitario in evoluzione. Le ricerche dimostrano infatti che la riabilitazione ambulatoriale può essere altrettanto efficace, se non di più, rispetto alla riabilitazione in degenza, specialmente per pazienti con condizioni generali favorevoli e un adeguato supporto sociale. Questo approccio consente di liberare risorse ospedaliere per i pazienti che necessitano di cure più intensive, contribuendo a un utilizzo più equo e sostenibile delle risorse sanitarie.
Inoltre, l’adozione di un modello riabilitativo “esterno” permette di soddisfare con maggiore rapidità la crescente domanda di interventi protesici, un’esigenza in costante aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione e della maggiore attività fisica. Questo approccio non solo migliora l’efficienza del sistema sanitario, ma consente anche ai pazienti di ricevere cure in tempi più brevi, garantendo un recupero più rapido. La riduzione della degenza in ambienti promiscui contribuisce inoltre a diminuire il rischio di infezioni nosocomiali complicanze legate all’ospedalizzazione.
La riabilitazione ambulatoriale, studi alla mano, offre risultati migliori in termini di soddisfazione del paziente e suo recupero funzionale rispetto alla riabilitazione in degenza (Vogt et al., 2020; Kellett et al., 2019; Ustead et al., 2020).
Certo, è essenziale che i pazienti siano informati sulle potenzialità di queste nuove modalità di intervento, con un sistema di assistenza ben strutturato. Le sedute devono essere tempestive e in numero adattabile alle necessità specifiche dei pazienti.
Da questo esempio ben si comprende perché le politiche sanitarie debbano basarsi su un’analisi costante delle evidenze e delle migliori pratiche, piuttosto che su un confronto diretto con altre regioni, che potrebbero avere invece caratteristiche demografiche e sanitarie diverse. Le decisioni devono essere guidate da un principio di equità nell’accesso alle cure. La riorganizzazione dei servizi, specie facendo ricorso alle prerogative della nostra Autonomia, deve essere vista come un’opportunità per migliorare l’assistenza, integrando innovazioni e rispondendo alle esigenze di un sistema in evoluzione. Solo attraverso un dialogo aperto e collaborativo tra gli attori del sistema sanitario, i professionisti e i cittadini è possibile garantire che le scelte siano realmente al servizio della popolazione.
Il caso dunque di un cambio di approccio alla riabilitazione post-operatoria è almeno una prima piccola risposta ai mille quesiti che il Trentino deve porre alla nuova Sanita post Covid. L’obiettivo deve essere quello di un livello adeguato di cura, integrando innovazioni e rispondendo alle esigenze di un sistema in evoluzione. Solo attraverso un approccio informato e collaborativo è possibile garantire il miglioramento della salute e del benessere dei cittadini. Da qui si evince che il ricorso al privato o la costruzione di una nuova struttura ospedaliera a nulla serviranno se non supportate dall’ascolto di una classe medica sempre attenta e propositiva – verso politica e cittadini – di nuovi modelli di cura e approccio alle patologie. Che la politica ascolti e agisca di conseguenza, che i cittadini siano più attenti a scegliere una classe politica adeguata.