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La cura infinita

Da Paola Demagri 23 Giugno 2023

di Nicoletta Postal

Vi chiederete perché ho voluto intitolare la mia presentazione “la cura infinita”. Perché “cura” è la parola che ritrovo in tanti passaggi della mia vita. Dal mio bisogno di cura ho avuto modo di imparare e di amare la cura di mia madre, e di apprezzarne la bellezza, tanto dall’andare a scegliere una professione di cura, come l’infermiera, tanto dal sentire, poi,  il desiderio di curare chi voleva diventare infermiere e operatore socio sanitario, diventando una tutor, e infine, tanto da portarmi a curare chi cura, nel ruolo di caposala.

In questi anni, accanto al bisogno di curare, era sempre forte in me il bisogno di essere preparata per poter svolgere al meglio la mia professione, perché pazienti e collaboratori meritavano e meritano conoscenza e competenza. E ancora oggi, il bisogno di competenza mi fa stare sui banchi di scuola per imparare ad ascoltare, e provare a trasformare le parole in parole di cura.

La politica come “cura”

Vi chiederete ora cosa accomuna la cura con la politica. Ebbene, leggendo di politica e studiandola un po’, mi ha colpito leggere l’associazione fatta da Chiara Lubich, che è arrivata a definire la politica “amore degli amori”, anticipando filosofe della cura importanti, come Mortari e Pulcini. Il compito dell’amore politico è quello di creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli altri amori di fiorire: l’amore dei giovani che vogliono vivere insieme e hanno bisogno di una casa, l’amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole, libri, docenti preparati e non precari, l’amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di infrastrutture, di regole certe, di semplificazioni e meno burocrazia. La politica, quindi, fa in modo che le persone collaborino tra loro, facendo incontrare i bisogni con le risorse e infondendo fiducia con la presenza e il supporto. L’immagine che ne esce è molto bella: quella di uno stelo che alimenta e nutre il continuo sbocciare dei petali della comunità.

Mi soffermo a riflettere con voi sul sistema sanitario e welfare, che mi vede operatrice da lunga data

La recente pandemia ha fatto emergere l’importanza di chi si prende cura dell’altro. L’infermiere, come tutti gli altri ruoli sanitari, ha saputo gestire tutto l’universo emozionale proprio e altrui, garantendo la sua presenza, e mettendo a disposizione la sua competenza e la sua esperienza, nell’incertezza di una situazione sanitaria non conosciuta e non sicura. Ed è proprio questa competenza, questo senso di responsabilità, che sono stati in quel momento ripagati dalla comunità, che ci curava con attenzione e supporto come una madre fa con i propri figli. Ma, questa attenzione e riconoscimento valoriale non possono essere dati solo in  un momento di difficoltà socio-sanitaria. Il personale sanitario merita cura, considerazione,  modelli organizzativi innovativi coerenti con la nuova generazione infermieristica, rispettosi della conciliazione vita-lavor.  Fondamentale diventa seguire il personale sanitario con empatia, capacità di ascolto e parole “medicinali”, essendo molti di questi professionisti sotto stress per le situazioni di sofferenza che quotidianamente possono incontrare.

La recente pandemia ci ha, inoltre, consapevolizzati della fragilità di un sistema socio-sanitario-economico, che si considerava solido e ben strutturato, impossibile da fermare. Invece, ha fatto comprendere tutta la necessità di pensare in senso comunitario, per un bene comune: la tua salute diventa la mia salute; ha fatto emergere il bisogno della cultura della cura, che richiede cure primarie accessibili a tutti.

Prima della prevenzione delle malattie va salvaguardata e mantenuta la salute. È normale equiparare la salute all’assistenza sanitaria. Se proviamo a chiedere a qualcuno cosa pensa della salute, ci potrebbe parlare della sua ultima esperienza in ospedale, o della difficoltà di trovare un medico nel fine settimana, o negli orari di chiusura degli ambulatori, dell’ultima lunga attesa nel pronto soccorso. Nessuno o pochissimi parlerebbero della propria obesità o sovrappeso, del fumo o dell’alcool, o di una dieta povera di frutta e verdura, o della mancanza di reti sociali e relazioni, o della mancanza di esercizio fisico o infine dello stress lavorativo, a cui non prestano la dovuta attenzione, e che indebolisce il sistema immunitario. Pochissimi, insomma, parlerebbero e ammetterebbero stili di vita sbagliati, o assocerebbero deprivazioni sociali al rischio di malattia.

In Europa gli indicatori di deprivazione sono l’impossibilità di pagare un affitto, l’impossibilità di scaldare la casa, di sostenere spese impreviste, di mangiare carne e pesce o un equivalente proteico almeno ogni 2 giorni. I dati mostrano chiaramente che, tra gli europei, a un maggior livello di deprivazione corrisponde un peggior livello di salute.

Accanto alla deprivazione materiale, anche il livello di istruzione è una buona misura di empowerment dell’individuo. Questi due fattori agiscono in maniera indipendente  nel definire lo stato di salute di un individuo. (Marmot, La salute diseguale 2016)

Uno scarso livello di istruzione, povertà, disoccupazione e lavori precari influiscono negativamente sulla salute e sono correlati al rischio di insorgenza di molte malattie. (Dati Censis 2020)

E’ innegabile che la responsabilità degli individui e delle comunità sia centrale per migliorare la propria salute e il proprio benessere, al pari della responsabilità politica di garantire l’accesso alle cure a tutti in modo appropriato e giusto.

Questo ci porta a suggerire tre approcci per promuovere comportamenti salutari: il primo favorire la scolarità al massimo, il secondo fare cultura sulle scelte salutari attraverso programmi educativi, iniziando nelle scuole e continuando negli ambienti di lavoro e nei distretti, in attesa delle tanto desiderate case della salute, il terzo rendere accessibili e incentivare tali scelte salutari.

Mi viene un esempio molto pratico riguardo all’infertilità, problema di cui oggi si parla moltissimo e che crea grande sofferenza fisica ed emotiva nelle nostre coppie. Uno dei cambiamenti sociali che stiamo vivendo è la tendenza della donna a non mettere più il figlio fra i suoi primi obiettivi, ma la ricerca di un lavoro stabile, di una casa, della realizzazione di sè stessa, perdendo di vista l’orologio biologico. Quando, poi, la donna desidera la maternità, questa diventa più difficile a causa dell’età biologica avanzata. Nei programmi di educazione all’affettività nelle scuole si parla molto di contraccezione, di come evitare l’interruzione volontaria di gravidanza, ma non si parla, o forse poco, di limite dell’età biologica della donna, del rischio d’infertilità, di procreazione responsabile e di sessualità.

Oggi la salute non è più intesa come assenza di malattia, ma come stato di benessere complessivo della persona nel suo contesto socio-ecologico, quindi diventa strategico agire sulla realizzazione delle persone, sulla soddisfazione dei bisogni e sulla cura dell’ambiente circostante. Questo programma deve essere l’obiettivo della prevenzione con interventi di promozione della salute basati sul fornire le informazioni per aumentare le conoscenze; con interventi di screening; e infine con interventi terapeutico-riabilitativi, per far sì che la malattia possa incidere il meno possibile sull’equilibrio psico-fisico

Quando parliamo di malattia, non possiamo non scorgere, almeno negli ultimi anni, una immagine di solitudine del paziente, soprattutto quando le malattie sono cronico-degenerative e incidono in modo rilevante sull’autosufficienza del paziente e sull’organizzazione familiare.

Una medicina particolarmente specialistica, se da un lato ci ha consentito di allungare la sopravvivenza, dall’altra ha parcellizzato la cura del paziente. Si cura l’organo, la parte del corpo compromessa, ma non la persona nel suo insieme. Assistiamo quotidianamente ai “giri della speranza” di molti cittadini, che passano da uno specialista all’altro, sperando in una diagnosi, non sempre individuata, e in una cura non sempre risolutiva del problema. In mano una marea di referti, che nessuno poi ha il tempo di collegare. Dire che la malattia è nella persona, e non solo nell’organo, significa che la persona va conosciuta nella sua interezza, va ascoltata, perché le narrazioni dei pazienti, talvolta riescono ad orientare verso la diagnosi. Gli esami strumentali, poi , possono confermare l’ipotesi della narrazione. Ecco che spazi di ascolto strutturati e gestiti da operatori preparati al dialogo potrebbero aiutare a individuare per tempo e a rendere la nostra medicina meno prestazionale e più personalizzata al paziente. La medicina territoriale si è allontanata troppo da questa modalità di presa in carico e di cura, e quando ci si allontana troppo dai valori insiti si perde la propria identità.

Se la malattia coinvolge la persona nel suo insieme, va di pari passo il bisogno che la cura sia multiprofessionale e soprattutto integrata nelle varie figure sanitarie. Nessun operatore sanitario può considerarsi esclusivo nel gestire situazioni, oramai, di elevata complessità. E non sono solo le risorse umane a doversi integrare, ma le stesse strutture, ospedali, ambulatori di medicina territoriale, strutture riabilitative, case di riposo, consultori, servizi alla persona, strutture di lungo degenza, al fine di dare quella continuità assistenziale che tolga la solitudine al vissuto di malattia del paziente e della sua famiglia, di consentire un miglior utilizzo delle strutture sanitarie, soprattutto dell’ospedale, diventato il centro sanitario più utilizzato per qualsiasi problema, e di gestire al meglio la complessità assistenziale. Pubblico e privato devono unirsi nella cura non con competizione, ma per gestire al meglio i bisogni sanitari della comunità. Probabilmente, se in sanità non si parlasse di posti letto, ma di posti di cura, il senso di qualsiasi discorso in merito cambierebbe nella sostanza e nel significato.

Purtroppo, anche il nostro Paese è caratterizzato da significative disuguaglianze di salute tra i diversi gruppi sociali e a livello territoriale. L’effetto di queste differenze si manifesta sull’aspettativa di vita, sui livelli di mortalità e sulla cronicità. La crisi sanitaria dovuta al COVID-19 ha richiamato l’attenzione su queste differenze, destando preoccupazione rispetto alla possibilità che gli svantaggi di salute dei gruppi di popolazione più vulnerabili, già molto significativi, possano acuirsi ulteriormente. Nel marzo 2020 e, in particolare, nelle aree ad alta diffusione dell’epidemia, oltre a un generalizzato aumento della mortalità totale, si sono osservati maggiori incrementi dei tassi di mortalità, in termini tanto di variazione assoluta quanto relativa, nelle fasce di popolazione più svantaggiate, quelle che già sperimentavano, anche prima della epidemia, i livelli di mortalità più elevati.(Censis, 2020)

L’epidemia COVID-19 ha dunque acuito le diseguaglianze preesistenti, con un maggiore impatto sulle persone con basso titolo di studio, non necessariamente anziane.

Vorrei concludere il mio pensiero con gli anziani. Nei miei anni di infermiera e di caposala l’anziano è il paziente che più mi ha ringraziato per la mia cura. È  il paziente più indifeso, quello più da proteggere, da ascoltare. La dimissione di un paziente anziano è difficile e passa per trasferimenti in lungodegenze, nell’attesa della disponibilità della casa di riposo, o di una riorganizzazione domiciliare. Nella gestione della dimissione, l’avere o meno una rete familiare o amicale può essere determinante più dell’età e della complessità del paziente.

Che riflessioni possiamo dedurre da questa osservazione: che bisogna ridurre la solitudine dell’anziano favorendo l’apertura e il mantenimento dei centri per anziani; che se è vero, come dice lo psichiatra Andreolli, che la terza età inizia con la fine dell’operatività, questa va incentivata, pensando a come l’anziano potrebbe essere utile in una società che non riesce più ad aiutare le famiglie.

Un ultima riflessione va all’assistenza sanitaria degli anziani. Mi piacerebbe pensare che l’anziano fosse curato secondo i principi di slow medicine: che non significa una medicina leggera nel senso di superficiale, ma sobria, appropriata, personalizzata. Una medicina condivisa con il paziente, se possibile, e la famiglia, che non si ostina nell’accanimento terapeutico, ma nel dare la giusta cura nel giusto momento di vita, nel giusto modo . Questa è l’appropriatezza che raggiunge la qualità assistenziale e l’utilizzo corretto delle risorse. A tal fine non è solo il personale sanitario che va educato, ma anche la famiglia del paziente anziano.

In Thailandia si parla di “triangolo che sposta le montagne”, quando si decide come affrontare un problema. I vertici del triangolo sono: la conoscenza, il governo, e le persone. Far lavorare i tre soggetti insieme può far spostare le montagne.

I problemi sono oramai conosciuti, le idee per gestirli pure, alle persone il coraggio di spostare le montagne.

23 Giugno 2023 0 Commenti
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Pienone di Casa Autonomia a Civezzano: Demagri, Dallapiccola e Valduga incontrano i cittadini

Da Paola Demagri 22 Giugno 2023

La campagna elettorale di Casa Autonomia.eu comincia a entrare nel vivo. Con le elezioni a poco più di 4 mesi di distanza i gialli arrivano alla 35esima serata sul territorio, la seconda con la partecipazione del candidato presidente Francesco Valduga. Assieme a lui sul palco, la presidente del Movimento Paola Demagri e il vicepresidente Michele Dallapiccola, che hanno presentato l’attuale situazione del Trentino, confrontandosi con un centinaio di cittadini presenti in sala allo scopo di stabilire insieme i punti principali del programma.

L’intervento del consigliere Dallapiccola delinea la situazione attuale e alcune delle problematiche che bisogna affrontare, prime fra tutte la denatalità e il calo del potere d’acquisto. “Ormai siamo scesi sotto la soglia psicologica dei 400mila nati – spiega il vicepresidente del Movimento – ed è dagli anni ‘70 che ogni anno nascono meno bambini di quanti ne siano nati durante la Prima Guerra Mondiale. Per non parlare dei problemi economici: l’Italia è l’unico Paese europeo ad aver perso potere di acquisto negli ultimi 20 anni. Tutti gli altri, anche i più simili a noi, sono riusciti ad aumentarlo. Qui in Trentino non facciamo eccezione, ma almeno abbiamo una speranza. La nostra Autonomia, se utilizzata bene, ci permette di ottenere risultati straordinari, di essere all’avanguardia e di guidare il Paese verso una situazione migliore”.

Anche la presidente Demagri mette in luce alcune problematiche, concentrandosi più sugli ambiti del sociale e della sanità. “Con una popolazione che invecchia sempre di più dovremmo pensare in modo diverso, non solo per invertire la tendenza, ma anche per provvedere agli anziani sempre più numerosi che necessitano di assistenza. Questo per noi significa potenziare servizi già esistenti, come l’assistenza domiciliare o le Rsa, ma anche investire in servizi nuovi o poco utilizzati, come le soluzioni di co-housing. Bisogna poi trovare il coraggio di provare soluzioni innovative, magari nelle Case della Comunità previste dal Pnrr, che al momento sono solo contenitori vuoti, senza personale e senza idee. O magari ripensando l’organizzazione del sistema sanitario, con gli ospedali come centri per la fase acuta della malattia e dei centri specializzati per trattare le cronicità che affliggono la popolazione più anziana. Infine è necessario cercare di risolvere la crisi della natalità, dando alle coppie le condizioni necessarie per sentirsi tranquilli nel mettere al mondo un figlio. A partire dalla casa e dalle politiche a sostegno della famiglia, in particolare quelle che permettano di raggiungere la cosiddetta parità di genere, come i servizi conciliativi, gli asili nido gratuiti o ancora il riconoscimento, almeno da un punto di vista contributivo, dell’attività di cura della famiglia, che è essa stessa un lavoro”.

Prende la parola il candidato presidente Francesco Valduga, alla sua seconda apparizione con Casa Autonomia.eu. “Con l’Alleanza Democratica Autonomista vogliamo portare un progetto politico originale, che guardi al lungo periodo e che parte dalle persone. Ci concentreremo su quattro macro argomenti, ovvero salute, formazione, impresa e ambiente. Il tutto in un’ottica di sostenibilità integrale, ovvero con delle misure che mirino a ridurre le diseguaglianze e di conseguenza la rabbia, che spesso ci fa cadere preda del populismo, come è evidente dai risultati delle elezioni nazionali. Voglio però sottolineare che il nostro non sarà il programma di Valduga perché, sebbene l’elezione del Presidente sia diretta, io non corro da solo e in caso non governerò da solo, dato che un vero leader si può considerare tale solo nella misura in cui riesce a lavorare con gli altri, stimolandoli a dare del proprio meglio”.

Presente anche Ugo Rossi, già Presidente della Provincia, che in un breve intervento sottolinea: “Quando arriverà il momento di votare io non avrò dubbi. La mia scelta cadrà sull’Alleanza Democratica Autonomista per un semplice motivo: loro non rispondono a nessuno se non ai cittadini, mentre gli altri a Roma hanno dei veri e propri capi che devono fare contenti, mettendo in secondo piano i bisogni del Trentino”.

In chiusura della riunione, Demagri, Dallapiccola e Valduga dedicano del tempo al confronto diretto coi cittadini, per rendersi conto delle problematiche più sentite dalla popolazione. Tra gli argomenti toccati, emergono il tema del volontariato, la cosiddetta fuga di cervelli e la necessità di una sburocratizzazione. Tutti assunti che, assicurano i consiglieri, o sono già stati portati al tavolo della coalizione, o vi troveranno spazio in seguito a questa riunione.

22 Giugno 2023 0 Commenti
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Istruzione, cultura e Autonomia sono il passaporto per il futuro

Da Paola Demagri 20 Giugno 2023

Podetti Carla

Ieri sera, lunedì 19 giugno, si è tenuto il tavolo di ascolto Istruzione e Cultura. Un’occasione di confronto per parlare di scuola, università e ricerca, ma non solo. Si toccano anche le culture dei territori, come quelle ladina, cimbra e mochena, le arti musicali e visive, con il relativo associazionismo artistico, culturale e museale, l’Europa e le partnership strategiche in ambito culturale e gli spazi di confronto reciproco. Il tutto in modo da poter rendere conto del lavoro fatto anche in modo divulgativo.

Tra i partecipanti si è affermato il concetto dell’Autonomia, strumento necessario e allo stesso tempo opportunità unica per toccare ciò che serve al territorio con solidarietà e lungimiranza, senza diventare un laboratorio in piccolo per questioni nazionali. Tra gli argomenti sollevati anche l’importanza dell’educazione, spesso trascurata, ma che in una situazione ideale dovrebbe assurgere allo stesso livello di temi sicuramente più sentiti come la salute.

Il discorso parte da alcune concretezze, come il lifelong learning, ovvero la necessità di continuare a imparare, studiare ed aggiornarsi nel corso della propria vita. Una realtà che si riscontra sia sul lavoro, che in altri ambiti, come la genitorialità, il volontariato o anche nel tempo della pensione. Inoltre, nell’ambito dell’educazione è anche importante riconoscere i giovani e dare loro fiducia e segnali positivi. Per ottenere tutto ciò è importante rafforzare il patto sociale tra professionisti del settore, genitori e società civile, che deve e può conoscere e riconoscere gli effetti della scuola. Sarebbe anche auspicabile rivedere il modello scolastico in modo partecipato, assieme agli addetti ai lavori, costruendo una scuola nuova, più adatta alle necessità attuali.

Tra gli argomenti già attuali c’è per esempio l’iniziativa del Trentino trilingue, che da 0 anni accompagna i ragazzi in una formazione costante e apre i contatti con le regioni limitrofe e l’Europa. Si parla poi della scuola 0-6, recentemente oggetto di un ddl estremamente discusso dai professionisti e dalle opposizioni. Infine ci sono considerazioni di carattere più generale, partendo da come utilizzare i fondi del Pnrr destinati all’educazione, passando dalla carenza di personale e da come rendere più appetibile il ruolo di docente, arrivando infine alla diminuzione delle nascite, che rischia di far calare l’importanza attribuita all’educazione.

Tra gli argomenti già attuali c’è per esempio l’iniziativa del Trentino trilingue, che da 0 anni accompagna i ragazzi in una formazione costante e apre i contatti con le regioni limitrofe e l’Europa. Si parla poi della scuola 0-6, recentemente oggetto di un ddl estremamente discusso dai professionisti e dalle opposizioni. Infine ci sono considerazioni di carattere più generale, partendo da come utilizzare i fondi del Pnrr destinati all’educazione, passando dalla carenza di personale e da come rendere più appetibile il ruolo di docente, arrivando infine alla diminuzione delle nascite, che rischia di far calare l’importanza attribuita all’educazione.

Cosa serve per farlo?

  • Co-costruire interventi innovativi, con metodo e gradualità;
  • Garantire prospettiva;
  • Sensibilità (per cogliere le variazioni di contesto o le necessità del sistema) e delicatezza nell’intervenire: parliamo di professionalità educative/formative e di sistemi formativi;
  • Attenzione al ruolo dei territori dislocati: esplicitarne la potenza e favorirne la partecipazione;
  • Attenzione alla qualità dell’insegnamento e al lavoro-ricerca;
  • Agire anche sull’ organizzazione e su procedure e processi per dare corpo a questo insieme;
  • Scuola e università interconnesse per guardare avanti;
  • Supporto anche psico-pedagogico per studenti, genitori e docenti;
  • Coinvolgimento dei media su molti aspetti di tenuta, tra cui benessere, supporto agli educatori, canali dedicati specifici e lingue locali.
20 Giugno 2023 0 Commenti
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Fare volontariato significa prima di tutto comprendere il valore della reciprocità.

Da Paola Demagri 17 Giugno 2023

Oggi abbiamo partecipato 1° congresso promosso da “Misericordie e solidarietà”, ente nazionale che riunisce 800 associazioni e oltre 1 milione di soci volontari, con l’obiettivo di unire e fare rete tra i diversi enti del Terzo Settore

Il nostro Trentino è terra di volontariato per eccellenza, con oltre 3500 associazioni attive sul territorio: numeri significativi che evidenziano il valore e la forza della condivisione sociale

“Fare volontariato significa prima di tutto comprendere il valore della reciprocità. E’ una gioia che nasce da dentro, dalla soddisfazione di essere parte integrante -con la propria identità- di un progetto progetto condiviso.
Oggi normative e riforme che fanno riferimento al settore evidenziano un approccio asettico, dobbiamo invece avere la capacità di ascoltare, dialogare e costruire assieme, perchè dietro ad ogni realtà c’è la sensibilità dei singoli e la nobile scelta di dedicare gratuitamente il proprio tempo”

Una giornata ricca di contenuti, raccontati anche attraverso esperienze virtuose. In attesa, lo diciamo con orgoglio, del grande appuntamento che nel 2024 vedrà Trento protagonista come Capitale Europea del Volontariato, un’altra occasione importante per consolidare e dare voce al nostro futuro sociale

17 Giugno 2023 0 Commenti
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Una nuova candidata in giallo: benvenuta Mariastella Loss

Da Paola Demagri 11 Giugno 2023

Sincera e sintetica, dalla valle del Vanoi Casa Autonomia accoglie la propria nuova candidata, Mariastella Loss, che ha scelto di intraprendere questo percorso politico con il Movimento in giallo, di cui condivide le idee. Di seguito le sue parole.

Ciao, sono Mariastella Loss della Valle del Vanoi. Sono responsabile delle pulizie per una ditta locale. Ho scelto Casa Autonomia.eu perché rispecchia il mio modo di pensare e credo nelle persone che rappresentano e hanno dato vita al Movimento.

11 Giugno 2023 0 Commenti
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L’assessorato autorizza ancora l’uso della Dad, una restrizione inopportuna

Da Paola Demagri 9 Giugno 2023

Il 5 maggio 2023 la pandemia è stata dichiarata ufficialmente conclusa. Lo ha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Ahanm Ghebreyesus. Nonostante la fine della pandemia, alcune scuole, autorizzate dall’assessorato, continuano ad utilizzare le misure restrittive della pandemia, nello specifico le lezioni in DAD, in contesti non necessari.

Oggi agli alunni dell’Istituto Da Vinci è infatti arrivata una mail in cui si comunica che l’ultimo giorno di scuola si svolgerà a distanza, con i docenti che si collegheranno in Meet negli orari designati. Non si tratta di una possibilità in più offerta a studenti che magari hanno difficoltà a seguire in presenza le ultime lezioni dell’anno per questioni di distanza o altre circostanze estenuanti, ma di una vera e propria restrizione inopportuna, la cui responsabilità ricade sull’assessorato.

È infatti l’assessorato a causare questa restrizione, autorizzando le scuole a prendere queste misure, andando in questo modo a “gestire” gli studenti che vorrebbero invece partecipare alle normali attività scolastiche fino all’ultimo giorno di calendario, come sarebbe loro diritto. Si tratta di una forma di restrizione politica inopportuna e sappiamo come le restrizioni forzate possano causare reazioni infelici.

9 Giugno 2023 0 Commenti
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Oggi la giornata mondiale dei genitori

Da Paola Demagri 1 Giugno 2023

Oggi 1° Giugno è la giornata mondiale dei genitori, istituita per la prima volta il 17 settembre del 2012 dalle Nazioni Unite, ormai undici anni fa.

Un’occasione in più per celebrare il ruolo fondamentale dei genitori e della famiglia nella nostra società.

Quella del genitore è una vera e propria professione, con la differenza che non si viene ripagati in denaro ma in affetto, non prevede turni di riposo e dura tutta la vita. 

Genitori non si nasce, si impara ogni giorno, ogni bambino come si dice “non è dotato di manuale di istruzioni” e dagli errori si impara.

Spesso a pagare l’inesperienza genitoriale è il primo figlio, con lui si sperimenta, ci si spaventa e con lui si cresce, si migliora e si impara.

Il genitore si ritrova spesso solo, la società di oggi considera scontato che un adulto sappia adattarsi immediatamente a questo nuovo ruolo. Personalmente mi trovo spesso tirata in ballo per la mia esperienza a giudicare l’operato altrui, ma onestamente non mi sento mai in diritto di dare un giudizio, semmai un consiglio e soltanto se richiesto dai diretti interessati. Penso che i genitori di oggi abbiano bisogno di riferimenti, un tempo c’erano i nonni, la famiglia era unita, oggi si sente la necessità di corsi per la genitorialità. Qualcuno mi dice che basta il buonsenso, io non credo, per prima cosa serve l’esempio concreto, servono indicazioni e rassicurazioni.

I figli non rimangono piccoli per sempre, in poco tempo ci ritroviamo a fare i conti con l’adolescenza ed in quel momento il mestiere di genitore viene messo a dura prova, ogni figlio è diverso per cui non possiamo pensare di utilizzare gli stessi “protocolli” come in azienda, notti passate in bianco, libri e articoli letti e studiati, ma poi tutto va declinato, pensato, strutturato per la propria famiglia.

Il genitore perfetto non esiste, tutto quello che serve è un sistema pronto a sostenere questa figura, a comprenderla ed a riconoscerle il valore che merita all’interno della società. Purtroppo l’essere genitore non fa curriculum ed il tempo investito per la crescita dei figli non viene adeguatamente riconosciuto.

1 Giugno 2023 0 Commenti
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“Carriera docenti”: un eccesso di poteri alla Giunta provinciale

Da Paola Demagri 30 Maggio 2023

Il testo di legge  definito carriera docenti viene licenziato in Commissione con il voto contrario da parte di  Casaautonomia.eu. 

Dal punto di vista ideologico, l’idea di introdurre una carriera dei docenti è condivisibile anche se è difficile introdurla attraverso un ddl  provvisto di una  cornice  piuttosto scarna. 

Per affrontare la questione carriera docenti serve una cultura diffusa che dissemini e prepari  i professionisti ad una evoluzione della propria carriera,  che ad oggi non sembra ancora radicata all’interno del sistema scolastico. La strada sarebbe stata quindi quella di una formazione, di un percorso  per arrivare poi alla condivisione dell’obiettivo.

L’attuazione del solo ddl 176 rimarrebbe inefficace con distorsione dell’obiettivo. Essendo una proposta molto scarna, avrà bisogno di delibere di Giunta che individuino criteri e numero di posti disponibili . Un eccesso di poteri alla Giunta provinciale che limita l’autonomia delle istituzioni scolastiche!

Rimangono poi degli ostacoli da superare come quello del precariato. Infatti gli insegnanti non di ruolo sarebbero esclusi dalla possibilità di partecipare alla valutazione per tutor o ricercatore.

In commissione ho inoltre sottolineato i problemi che nascerebbero anche a seguito di eventuali mobilità dei docenti fuori provincia. In  Trentino potrebbero ottenere l’avanzamento di carriera  ma non spendibile nelle mobilità extraregionali. 

L’’assessore Bisesti come tutti i suoi colleghi di Giunta ha sentito il bisogno di intestarsi una riforma.senza adoperarsi per farla attraverso un sistema partecipativo.

Insomma il metodo leghista è sempre lo stesso: comandare e non governare , decidere e non coinvolgere, cambiare e non migliorare.

30 Maggio 2023 0 Commenti
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I 45 anni del sistema sanitario pubblico: storia di un successo da rilanciare.

Da Paola Demagri 23 Maggio 2023

Federico Busetti

Proprio così, tutto vero. Quest’anno il Sistema sanitario nazionale compie 45 anni. Fu con la legge 833 del
1978 che l’Italia si dotava di una meravigliosa macchina organizzativa mirata alla tutela della salute della
popolazione. Meravigliosa perché basata su principi di universalità, uguaglianza e equità.

In sostanza si garantiva l’assistenza a qualunque cittadino al di là del reddito, della religione, della classe sociale. Per
questo raggiungeva e raggiunge una capillarità d’azione che molti paesi ci invidiano. Sembra essere stata
l’ultimo grande colpo di genio della politica italiana, il fiore all’occhiello dello spirito post-bellico del nostro
Paese, successivamente affievolitosi. Lo stesso slancio innovatore che aveva creato i presupposti per il
boom economico e dunque il trascinamento dell’Italia verso una ricchezza prima sconosciuta.


Alla fine degli anni settanta la società mostrava già le sue crepe, i dissidi e l’irrequietezza pervadevano di
sovente l’animo delle nuove generazioni, i venti di rivolta soffiavano forti. Mentre la politica era inerme
difronte al desiderio di cambiamento auspicato da ampi strati di popolazione, senza saperne interpretare le
istanze, senza riuscire a capirne le intime motivazioni, il ministro Tina Anselmi riusciva a utilizzare gli
strumenti democratici, all’epoca minacciati da gruppi terroristici di varia natura e appartenenza politica, al
fine dell’approvazione di uno dei sistemi sanitari migliori del mondo, se non come qualità, certo quanto a
diffusione delle cure.

Nello stesso anno in cui le Brigate Rosse erano all’apice della propria azione,
culminata nel rapimento e successiva uccisione del Presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro e
massimo era l’attacco apportato dall’organizzazione all’esistenza stessa della Repubblica.
Fu un capolavoro, si passava dagli enti mutualistici e le casse mutue in cui l’erogazione delle cure era
strettamente legato alla condizione lavorativa, all’applicazione dell’articolo 32 della Costituzione, che
identifica lo Stato come ente garante della salute dei cittadini, essendo essa un diritto dell’individuo ed
elemento da proteggere e valorizzare nell’interesse della collettività.


Facendo poi un brevissimo excursus storico è in obbligo la menzione degli anni novanta, tempo in cui il
governo Amato, con ministro della salute De Lorenzo, iniziò la regionalizzazione della salute. Gli ospedali
vennero trasformati in aziende sanitarie locali con un’autonomia propria, sebbene ancora rispondente al
potere centrale. Correva l’anno 1992, tangentopoli e il prelievo forzoso sui conti correnti per evitare il
tracollo economico di una Stato vicino al collasso, minato dalla crisi economica, ma anche e forse
soprattutto dalla stagione stragista attuata dalla mafia, elementi che fecero nuovamente vacillare la
credibilità dello Stato davanti agli occhi severi degli osservatori internazionali.


Seguirono poi altre modifiche e riforme, come quella voluta dal Ministro Bindi che, tra le altre cose, istituiva
i livelli essenziali di assistenza, ossia quelle prestazioni sanitarie definite come minime e dunque
obbligatoriamente erogate dal Sistema sanitario nazionale (SSN).
Quello che conta è che, nonostante le modifiche intercorse, le riforme e i correttivi apportati, il SSN ha
sempre retto. Finora si è sempre riusciti a salvarne le istanze fondamentali, facendo fronte al bisogno di
salute della popolazione.
Negli ultimi anni però il mondo e con esso l’Italia sono cambiati, facendo emergere nuovi problemi, fino ad
ora più o meno dolosamente non affrontati.

Così il nostro Paese sembra abbia subito in pochi anni la concorrenza sanitaria dell’Europa. Non ha saputo
agganciarla, stavolta non dal punto di vista dei pazienti, e cioè della qualità delle cure che rimangono di alto
livello, ma per quanto attiene ai lavoratori del settore.
È questa la nuova minaccia. Sono ora medici,
infermieri, tecnici, oss che sembrano disaffezionarsi sempre di più al proprio datore di lavoro, il SSN.

Poco a poco si è assistito quindi all’avanzata di una concezione di sanità sempre più privata.

La monetizzazione della salute, in cui al fianco del sistema pubblico sempre meno in grado di garantire
efficienza e adeguate tempistiche di trattamento, ha preso piede un sistema privato, che in alcune regioni è
ormai dominante. Si tradisce dunque il diritto alla salute, ossia il già citato art.32 delle Costituzione e quel
che è peggio, si creano enormi disuguaglianze tra ricchi e poveri, aumentando sempre di più il divario tra i
differenti strati di popolazione. I vari governi hanno tagliato al comparto sanità circa 37 miliardi di euro
negli ultimi 10 anni. Questo ha voluto dire per il SSN cedere sempre più competenze ai privati, stipulando
convenzioni.
Anche la nostra Provincia autonoma sembra ora doversi confrontare con un problema fino a pochi anni fa
quasi sconosciuto, ossia lo scadimento del proprio Sistema sanitario: medici che abbandonano il pubblico
stremati e insoddisfatti, liste d’attesa infinite, migrazione sanitaria. A tutto questo si contrappone un
immobilismo politico intollerabile.


A parole il SSP è difeso da tutti ma alla prova dei fatti l’attuale Giunta sembra brancolare nel buio più
totale, nessuna strategia, nessuna pianificazione per la sanità dell’imminente futuro, nessuna capacità di
ideare strumenti convincenti per tamponare l’emorragia di medici e invertire la rotta,
per promuovere un
sistema in potenza ottimo ma bisognoso di rilancio. Anzi ho l’impressione si tenti volutamente di minare
sempre più il sistema pubblico, addirittura speculando anche tramite l’edilizia sanitaria, proponendo, per
esempio, un insensato progetto qual è l’Ospedale a Masi di Cavalese, naturalmente voluto dai privati. Senza
un minimo di pianificazione futura, in un momento di carenza di medici persino nel capoluogo, nonchè di
estrema incertezza in merito al destino dei nosocomi periferici, si presenta, peraltro in maniera truffaldina
e poco trasparente, un progetto di un nuovo ospedale, che cambierebbe per sempre la vita non solo
sanitaria, di una intera valle. Sullo sfondo poi, la questione del nuovo ospedale di Trento, storia infinita e
non più procrastinabile.


Forse giudicata troppo difficile la partita dell’ospedale provinciale, hanno spostato le mire su qualcosa di
più piccolo per far guadagnare gli amici? Può darsi. Sta di fatto che sembrano agire in maniera totalmente
dissociata dalla razionalità, anche per loro, che da inesperti si sono trovati a governare una
macchina delicata e complicata come quella autonomista.


Inoltre la scelta della creazione della nuova Facoltà di medicina a Trento sembra non rispettare le più
basilari regole del buonsenso
. Come giustamente evidenziato da molti, tra gli altri dal segretario generale
Anaoo su Quotidiano Sanità (giornale di settore), il problema della carenza di medici è da ricercarsi nel
post-lauream, cioè in coloro che laureati e abilitati alla professione non accedono poi al percorso delle
specializzazioni, obbligatorio per qualunque medico. Fondare una nuova Scuola di medicina (il termine
“facoltà” è invero desueto ai sensi dell’entrata in vigore dell’ultima riforma del settore) in uno Stato non in
grado di garantire la formazione ai laureati esistenti,
i quali vanno a costituire il famoso “imbuto
formativo” cioè quel collo di bottiglia formato dai medici laureati e abilitati alla professione che rimangono
privi del posto per specializzarsi nella branca scelta, per poi divenire medici specialisti e dunque fruibili per
il SSN, è un controsenso.

Per di più il progetto così presentato non sembra offrire qualcosa di innovativo,
ma un mero doppione delle più titolate università che circondano la nostra provincia (da Innsbruck a
Bologna, e da Milano a Padova), senza considerare i costi di mantenimento di un’accademia di medicina.
Ben altra valenza avrebbe avuto la proposta di progetto serio, che vedesse la creazione di un’Accademia
sovraregionale guardando all’ Euregio, cioè di ampio respiro culturale e scientifico, in cui la formazione e le
occasioni di carriera racchiudessero una sintesi delle diverse esperienze in campo medico, formando
dunque un professionista moderno ed europeo, così come richiede la società dei nostri tempi.

Una sfida
che attualmente non è stata colta da chi di dovere. Proprio di questi giorni è la triste notizia del primo
bilancio negativo dell’Ateneo trentino, in rosso di ben 4 milioni di euro, situazione inedita in sessanta lunghi
anni di storia. Questa la dice lunga su come la Giunta tratti la cultura nonché sul suo metodo d’azione,
ovvero il non metodo, basato su slogan arcipopulisti figli di una politica superficiale e inadatta mirata all’accaparramento dei voti nell’immediato, una campagna elettorale perenne che urla molto e conclude poco.


Ecco che dunque anche il Trentino riesce a farsi un incredibile autogol, sfornando laureati senza poi
permettere loro di completare il percorso.
Qui si innesta poi la complessa discussione sulla migrazione dei
nostri giovani medici all’estero, dove oltre a trovare posti, direi piuttosto facilmente, sperimentano
metodiche lavorative dinamiche, che poco hanno a che fare con i nostri macchinosi e ormai poco attuali
reparti universitari. Non può certo essere tralasciato la voce stipendiale, che in Italia è irrisoria, un insulto al
professionista e una vergogna per lo Stato che si ostina, unico in Europa, a considerare lo specializzando
una specie di studente, seppur titolato.

Un cenno merita poi il trattamento che riceve di sovente il giovane medico anche dal punto di vista professionale, tra soprusi, minacce e modus operandi dei primari universitari che, generalmente assumono certo comportamenti né onesti né adeguati all’Istituzione che rappresentano, l’Università, la quale dovrebbe essere la massima espressione culturale di un Paese e invece
si riduce spesso a covo di clientelismi e lacchè, su questo si potrebbe esemplificare per pagine e pagine, ma
sarebbe un racconto trito, di cui però non si può non fare menzione dato che rientra tra i fattori che
privano l’Italia di giovani in generale e dunque anche e soprattutto, di giovani medici, stante la lunghezza
del percorso con annessa necessità di sopportazione delle situazione per un lungo lasso di tempo.


Tutto considerato quindi, sempre più neo abilitati migrano dove ricevono un trattamento consono alla loro
figura, il medico, per cui hanno studiato e faticato per ben sei lunghi anni.
E fanno bene. Bisogna
sottolineare che i due aspetti, cioè trattamento economico e personale, costituisco un connubio
incredibilmente potente per convincere gli interessati ad abbandonare l’Italia. Talmente micidiale da
escluderla a priori da qualsiasi possibilità di confronto, non può reggerle, tanto è indietro. Taluni possono
chiedersi perché mai “la bomba” sembra essere scoppiata negli ultimi anni. La risposta è relativamente
semplice.


Tra le innumerevoli positività recate dall’ Europa, può essere annoverata anche una sempre più agile e
facile mobilità lavorativa tra gli Stati membri. Fino a pochi anni fa le carte da compilare erano moltissime e i
tempi di attesa molto lunghi, ora tutto è cambiato e dato che ogni professione, inclusa quella medica, ha un
mercato…il gioco è fatto, la via è spianata, i numeri impietosi.

Tra il 2009 e il 2012 le richieste di certificati di congruità, essenziali allo svolgimento della professione all’estero erano 5000, l’aumento vertiginoso delle domande ha visto le richieste aumentare sino a contarne 2000 nel solo 2014. Nel 2010 prendeva
finalmente forma l’importante documento “WHO Global Code of practice on the international recruitment
of Health Personnel”, che nella parte in cui ascrive alla mancanza di personale sanitario altamente e
continuamente istruito lo scadimento della perforamance di un sistema sanitario, in molti leggono un
ammonimento ad hoc per il nostro paese. La questione coinvolge, naturalmente, anche i professionisti
formati, cioè specialisti, che sempre più spesso scelgono di abbandonare l’Italia, dato che il 52% per centro
della mobilità sanitaria europea è costruita da medici italiani. Ma non è finita, anche coloro i quali riescono
a entrare in quello che dovrebbe essere un diritto, cioè nel percorso di specializzazione, proprio a causa
delle condizioni sopracitate a un certo punto, sfiniti, abbandonano la Scuola di specializzazione scelta. Si
pensi che gli ultimi dati narrano di 6 mila giovani medici che, sottopagati e sfruttati dal sistema italiano,
fuggono dal nostro Paese per andare altrove. Su 30.452 contratti di specializzazione banditi dal Ministero
(anni 2021-2022) sono 5.724 quelli non assegnati o abbandonati. In percentuale si parla del 20% cioè 1 su 5.
Per un Paese in forte carenza di sanitari è una quota molto alta che tradisce anche un fallimento del
sistema, evidentemente per nulla attrattivo.
… e allora, come facciamo?


Dunque è chiaro che al professionista è necessario offrire carriera innanzitutto, il giusto corrispettivo
economico, tranquillità e serenità lavorativa. L’ APSS, ossia la nostra Azienda ospedaliera provinciale, nei
prossimi anni subirà una profonda ristrutturazione, sia come personale che come strutture. Verrà in sostanza rivoluzionato l’intero sistema, e scrivo rivoluzionato e non riformato, data la necessità di qualcosa
di più di una semplice “revisione” dell’esistente.


Per attuare l’ambizioso piano e permettere, in ultima analisi, la sopravvivenza della sanità pubblica, è
necessario, a mio avviso, sfruttare al massimo le prerogative concesse dalla nostra autonomia, che in
questo come negli altri ambiti deve tornare ad essere protagonista nel proporre idee innovative, offrendosi
come laboratorio di nuovi progetti.

Questo passa per la riorganizzazione degli ospedali di valle i quali devono identificarsi per una
specializzazione di punta, accanto alla creazione di spazi adeguati che possano offrire alla popolazione i
servizi di base di ogni specialità medica, creando così dei centri massimamente indipendenti, limitando così
la centralizzazione, che rende l’esistenza dell’ospedale periferico insensata e insostenibile. Indispensabile è
poi un miglioramento in merito alla questione del sovraffollamento dei Pronti soccorsi (PS), fenomeno a
mio avviso affrontabile tramite la creazione di ambulatori (o poliambulatori) diffusi sul territorio in grado di
trattare le patologie minori in cui il medico di medicina generale o specialista possa, coadiuvato da
personale infermieristico e in una struttura adeguatamente attrezzata, trattare le affezioni di minor rilievo.
Questo permetterebbe di superare le ormai obsolete guardie mediche dove medici soli e privi della
strumentazione necessaria, si trovano di sovente e dover indirizzare il paziente al PS più vicino, pur
trattandosi di patologie classificate come codice bianco, cioè quelle prestazioni che non sono riconosciute
come urgenti e che pertanto dovrebbero essere risolte dal medico generalista.


Deve anche essere completamente rivisto il percorso di formazione della medicina di base, già di
competenza completamente provinciale. Personalmente non vedo alcun senso nel mandare i corsisti per
due, tre settimane nei reparti senza dare un dettagliato programma e un adeguato tutoraggio affinchè
possano effettivamente accrescere le proprie competenza sulla materia di volta in volta trattata. Anche lo
strumento della videoconferenza, esploso con il Covid, si rivela molto utile, così come quello di rendere
disponibile il materiale didattico sulla rete. Penso, per esempio, a quanto sia utile disporre di iconografia in
un campo come la dermatologia.

Vale di più un corso di lezioni in videoconferenza magari anche registrate
e dunque sempre a disposizione, con una spiegazione delle differenti patologie cutanee corredata da molte
foto, che poi il discente fissa nella mente per riconoscere le differenti affezioni cutanee, piuttosto che un
tirocinio in cui egli è “gettato” in corsia senza un vero scopo. Inoltre è a mio parere di molto buon senso per
un medico di medicina generale saper eseguire in maniera adeguata gli esami strumentali di base come
l’ecografia, e l’elettrocardiogramma il cui insegnamento dovrebbe occupare periodi lunghi all’interno del
percorso. Sono degli esempi, ma esprimono il desiderio di creare, alla fine del percorso, dei medici
generalisti in grado di affrontare l’inquadramento base delle patologie, senza dover indirizzare subito il
paziente in PS o dallo specialista. Il medico di base deve riacquisire il proprio ruolo, importantissimo, di
perno della sanità territoriale, di “smistatore” della sanità, che sappia indirizzare l’utenza quando
necessario e adeguatamente all’esecuzione degli accertamenti realmente necessari.


L’innovazione maggiore, a mio avviso, quella dove la nostra autonomia potrebbe davvero esprimere la
propria qualità e lungimiranza, è connessa alle specializzazioni mediche. Nessuno è infatti contrario
all’istituzione di un centro di formazione universitario nella nostra provincia. Ma tutto dipende, come
sempre, dal contenuto della proposta. E’ difficile pensare a un futuro di sviluppo se il progetto è quello di
una Scuola di medicina (ex Facoltà) in senso classico.

Non esiste bacino d’utenza, nè numeri. Inoltre i costi da giustificare e recuperare sono altissimi. Una Scuola di medicina consuma, da sola, circa i due terzi dell’attuale bilancio (già in rosso di 4 milioni di euro, sic!) dell’Ateneo trentino. Diverso è più attraente è un progetto, sempre universitario, rivolto al post lauream. Si tratta di avviare, sfruttando le prerogative
concesse dall’autonomia, un percorso di formazione specialistica su base provinciale, in cui l’Apss possa
offrire percorsi d’eccellenza tramite convenzioni con centri italiani ed esteri, possibilità di ricerca,
formazione e perfezionamento che consentano al medico quell’interscambio fondamentale per la
preparazione indispensabile ai lavoratori della sanità del presente e soprattutto dell’imminente futuro.

Per questo l’Euroregione rappresenta una potenzialità tutta da sfruttare che permetterebbe un arricchimento
culturale e personale immenso. Chi di noi medici ha avuto la fortuna di poter svolgere un periodo all’estero
sa quanto affascinante e insostituibile sia il confronto scientifico con i colleghi di altre nazioni. Il valore
universale del sapere medico consente di accrescersi velocemente, se inserito in un ambiente stimolante,
facendo propri metodi di lavori differenti per poi portarsi dietro un bagaglio culturale magari da esprimere
tornati nella propria sede. Questo genera qualità, che va oltre la medicina, naturalmente.


Quando descritto è quello che è già in atto in molti centri europei, le connessioni, la qualità portano a
possibilità di carriera altrimenti inconcepibili e creano infine attrattività, scopo finale per trattenere i medici
sul territorio. A proposito di quest’ultimo elemento, l’attrattività, attualmente perduta in un sistema ormai
stagnante, è connesso il cambio di inquadramento contrattuale dello specializzando, che dovrebbe essere
considerato un medico a tutti gli effetti, come in realtà è in tutti i paesi d’Europa, ma che purtroppo in Italia
continua ad essere considerato una specie di studente seppur “senior” per così dire.

E’ormai d’obbligo per un’autonomia che creda in se stessa, offrirsi come laboratorio di sperimentazione per l’istituzione della
figura del “Dirigente medico in formazione” che offra al giovane collega uno stipendio adeguato, ora è solo
una borsa di studio, un riconoscimento pensionistico pieno degli anni di specializzazione, straordinari pagati
e tutte le tutele connesse a un professionista vero e proprio. Ritengo inoltre che la formazione medica
debba, per forza di cose, cessare di essere universitaria per divenire un percorso clinico, così come già è nei
più avanzati Paesi europei. Ma questo obiettivo non può che essere raggiunto per gradi, stante l’esclusività
della competenza statale in materia. Nel prossimo futuro l’obiettivo è inserire una proposta di formazione
provinciale nel percorso accademico che sappia cioè offrire quanto sopradescritto, rimanendo nei confini
delle competenze provinciali, gestendo quindi con sagacia e maestria le competenze della nostra
autonomia speciale, rimaste purtroppo silenti in questi ultimi cinque bui anni di governo delle destre
populiste.


Va da sé che ogni proposta di riforma, soprattutto se radicale, necessita di confronti continui con le parti
interessate. In questo caso deve quindi essere data a tutti i lavoratori delle sanità, l’opportunità di
partecipare e discutere dei cambiamenti di cui saranno protagonisti. Solo così, a mio avviso, nasceranno
progetti validi, le riforme calate dall’alto, imposte da politici poco competenti, che rifuggono il confronto,
ben consapevoli della contrarietà che incontrerebbero le loro proposte, se fosse data voce in capitolo alle
parti interessate, hanno vita breve e rischiano di creare situazioni peggiori di quelle esistenti. Il confronto è
l’anima di una politica vitale, la linfa di una società duttile e cangiante, in grado di cogliere le occasioni,
incanalare le istanze della popolazione e tradurle in energie positive, stimolanti e produttive.
Questa, a mio parere, è la strada giusta che sta intraprendendo la coalizione di centro sinistra. Una politica
sobria e non urlata, che si sofferma su temi importanti spiegandoli alle persone, che non ha bisogno di
organizzare piazze per autocompiacersi della paura della gente a cui peraltro non sa fornire soluzioni
adeguate e concrete per le problematiche quotidiane. Nutrirsi di malcontento non fornisce un buon
supporto alla popolazione, di converso ne aumenta la frustrazione, pericolosamente fino a farla esplodere.
Certo è che per sfruttare l’autonomia è innanzitutto necessario conoscerne le regole, il delicato
meccanismo e i complessi alambicchi che ne governano il funzionamento.

Federico Busetti

23 Maggio 2023 0 Commenti
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Carriera dei docenti? Nessuna innovazione questo disegno di legge, solo un’ulteriore ferita al sistema scolastico!

Da Paola Demagri 23 Maggio 2023

Luigi Panizza già Assessore all’Istruzione, componente di Casaautonomia.eu

Sto seguendo con molto interesse il dibattito in corso sulla stampa relativamente al disegno di legge “Misure per il miglioramento organizzativo delle istituzioni scolastiche….” di iniziativa della Giunta provinciale su proposta dell’assessore Mirko Bisesti.

Per un po’ di credibilità di quanto andrò a dire informo che sono stato insegnante, preside di Scuola Media ed Assessore Provinciale all’Istruzione. Nell’ultima veste sono stato autore della Provincializzazione della Scuola trentina,  presentatore dei disegni di legge sull’autonomia scolastica, dell’insegnamento delle lingue straniere con l’introduzione della lingua inglese nella scuola, interventi relativi alla riforma della scuola professionale, per citare i provvedimenti più importanti. Come non dire qualcosa quindi sul disegno di legge in discussione sulla scuola? L’ho letto ed alla fine mi sono chiesto: ma che novità ci sono se non quelle di complicare quanto  già esiste? Una cosa è certa: la qualità della scuola la fanno i docenti secondo il detto “la qualità della scuola passa attraverso la qualità dei docenti”.

I docenti nella scuola sono come il motore in una macchina. Ora ho sentito tanti commenti su questa legge e di questi ne condivido diversi. Non ho sentito il pensiero dei docenti o mi è sfuggito. Sì, perché dai docenti dipende la concreta applicabilità della legge. Senza di loro è come fare i conti senza l’oste.

Venendo alle osservazioni fatte, bene è stato detto che quanto si vuole innovare in pratica già si fa o si dovrebbe comunque fare con le risorse già esistenti. Nella scuola c’è il dirigente scolastico, ci sono gli organi collegiali: collegi docenti, consigli di classe con i coordinatori, eventuali gruppi di lavoro disciplinari ed interdisciplinari che operano a seconda delle esigenze che emergono sia negli incontri fra docenti che in collaborazione con le famiglie. Nelle scuole di ogni ordine e grado già esistono figure particolarmente preparate che spontaneamente e non burocraticamente mettono a disposizione degli altri la loro particolare sensibilità, preparazione ed esperienza. Quindi nelle scuole ci sono comunque e ovunque insegnanti che svolgono i ruoli previsti dalla legge (esperto…) senza tanti concorsi e pericolose graduatorie che non giovano all’armonia scolastica.

Cosa aggiungono i concorsi alla preparazione che già possiedono i concorrenti che prestano servizio nelle scuole’? Vogliamo solo burocratizzare, magari a scapito di risorse già disponibili ed efficaci? Invece ritengo molto utile finanziare corsi di aggiornamento per le innovazioni e su temi di carattere pedagogico, psicologico e didattico molto importanti per i docenti e non presenti in tanti corsi universitari che abilitano ugualmente all’insegnamento. Come pure sono importanti le collaborazioni esterne con esperti su precise iniziative relative alle nuove tecnologie, alla salute (alimentazione, alcool, fumo), all’ambiente, alla storia locale con testimonianze degli anziani, ecc…. Tutto iniziative che in tante scuole già sono presenti.

Aggiungo che la scuola non è stata istituita solo per istruire, ma deve anche e soprattutto saper educare, preparare cittadini responsabili che sanno utilizzare bene ciò che hanno appreso nella scuola attraverso le varie discipline. Gli studenti non sono solo contenitori da riempire di nozioni, ma soprattutto sono fuochi da accendere. Istruzione ed educazione devono andare a braccetto perchè sono due facce della stessa medaglia. Nella scuola l’educazione è talmente importante che in Francia il Ministero che fa capo alla scuola si chiama  “Ministero dell’Educazione”.

Non sono quindi i concorsi che possono migliorare la preparazione all’insegnamento. Anche la responsabilità del dirigente scolastico verrebbe, se non oscurata, un po’ confusa e resa di difficile gestione dalle nuove figure previste. In che posizione verrebbe a trovarsi il dirigente scolastico in base a norme già esistenti e di sua competenza e responsabilità? A mio modesto avviso la legge invece di percorrere la strada di un maggiore coinvolgimento del corpo docente apre la porta a deleghe difficilmente gestibili. Alle suddette osservazioni c’è da aggiungere che il disegno di legge è troppo generico e non si sa alla fine in concreto che cosa si va ad approvare.

Troppi spazi operativi vengono demandati a provvedimenti successivi. In conclusione quali vantaggi ne trae la scuola con questo disegno di legge? Non si rischia di turbare, complicare e forse danneggiare ciò che già funziona? Forse è meglio attivarsi per altre strade ed impegnare meglio le risorse per l’istruzione se si vuole migliorare ulteriormente la qualità della scuola trentina. Mi sono permesso di dire quanto sopra solo per offrire spunti di riflessione prima di assumere decisioni definitive in merito al nuovo disegno di legge sulla scuola. 

Luigi Panizza già Assessore all’Istruzione, componente di Casaautonomia.eu

23 Maggio 2023 0 Commenti
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