Paola Demagri
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Oggi la giornata mondiale dei genitori

Da Paola Demagri 1 Giugno 2023

Oggi 1° Giugno è la giornata mondiale dei genitori, istituita per la prima volta il 17 settembre del 2012 dalle Nazioni Unite, ormai undici anni fa.

Un’occasione in più per celebrare il ruolo fondamentale dei genitori e della famiglia nella nostra società.

Quella del genitore è una vera e propria professione, con la differenza che non si viene ripagati in denaro ma in affetto, non prevede turni di riposo e dura tutta la vita. 

Genitori non si nasce, si impara ogni giorno, ogni bambino come si dice “non è dotato di manuale di istruzioni” e dagli errori si impara.

Spesso a pagare l’inesperienza genitoriale è il primo figlio, con lui si sperimenta, ci si spaventa e con lui si cresce, si migliora e si impara.

Il genitore si ritrova spesso solo, la società di oggi considera scontato che un adulto sappia adattarsi immediatamente a questo nuovo ruolo. Personalmente mi trovo spesso tirata in ballo per la mia esperienza a giudicare l’operato altrui, ma onestamente non mi sento mai in diritto di dare un giudizio, semmai un consiglio e soltanto se richiesto dai diretti interessati. Penso che i genitori di oggi abbiano bisogno di riferimenti, un tempo c’erano i nonni, la famiglia era unita, oggi si sente la necessità di corsi per la genitorialità. Qualcuno mi dice che basta il buonsenso, io non credo, per prima cosa serve l’esempio concreto, servono indicazioni e rassicurazioni.

I figli non rimangono piccoli per sempre, in poco tempo ci ritroviamo a fare i conti con l’adolescenza ed in quel momento il mestiere di genitore viene messo a dura prova, ogni figlio è diverso per cui non possiamo pensare di utilizzare gli stessi “protocolli” come in azienda, notti passate in bianco, libri e articoli letti e studiati, ma poi tutto va declinato, pensato, strutturato per la propria famiglia.

Il genitore perfetto non esiste, tutto quello che serve è un sistema pronto a sostenere questa figura, a comprenderla ed a riconoscerle il valore che merita all’interno della società. Purtroppo l’essere genitore non fa curriculum ed il tempo investito per la crescita dei figli non viene adeguatamente riconosciuto.

1 Giugno 2023 0 Commento
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“Carriera docenti”: un eccesso di poteri alla Giunta provinciale

Da Paola Demagri 30 Maggio 2023

Il testo di legge  definito carriera docenti viene licenziato in Commissione con il voto contrario da parte di  Casaautonomia.eu. 

Dal punto di vista ideologico, l’idea di introdurre una carriera dei docenti è condivisibile anche se è difficile introdurla attraverso un ddl  provvisto di una  cornice  piuttosto scarna. 

Per affrontare la questione carriera docenti serve una cultura diffusa che dissemini e prepari  i professionisti ad una evoluzione della propria carriera,  che ad oggi non sembra ancora radicata all’interno del sistema scolastico. La strada sarebbe stata quindi quella di una formazione, di un percorso  per arrivare poi alla condivisione dell’obiettivo.

L’attuazione del solo ddl 176 rimarrebbe inefficace con distorsione dell’obiettivo. Essendo una proposta molto scarna, avrà bisogno di delibere di Giunta che individuino criteri e numero di posti disponibili . Un eccesso di poteri alla Giunta provinciale che limita l’autonomia delle istituzioni scolastiche!

Rimangono poi degli ostacoli da superare come quello del precariato. Infatti gli insegnanti non di ruolo sarebbero esclusi dalla possibilità di partecipare alla valutazione per tutor o ricercatore.

In commissione ho inoltre sottolineato i problemi che nascerebbero anche a seguito di eventuali mobilità dei docenti fuori provincia. In  Trentino potrebbero ottenere l’avanzamento di carriera  ma non spendibile nelle mobilità extraregionali. 

L’’assessore Bisesti come tutti i suoi colleghi di Giunta ha sentito il bisogno di intestarsi una riforma.senza adoperarsi per farla attraverso un sistema partecipativo.

Insomma il metodo leghista è sempre lo stesso: comandare e non governare , decidere e non coinvolgere, cambiare e non migliorare.

30 Maggio 2023 0 Commento
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I 45 anni del sistema sanitario pubblico: storia di un successo da rilanciare.

Da Paola Demagri 23 Maggio 2023

Federico Busetti

Proprio così, tutto vero. Quest’anno il Sistema sanitario nazionale compie 45 anni. Fu con la legge 833 del
1978 che l’Italia si dotava di una meravigliosa macchina organizzativa mirata alla tutela della salute della
popolazione. Meravigliosa perché basata su principi di universalità, uguaglianza e equità.

In sostanza si garantiva l’assistenza a qualunque cittadino al di là del reddito, della religione, della classe sociale. Per
questo raggiungeva e raggiunge una capillarità d’azione che molti paesi ci invidiano. Sembra essere stata
l’ultimo grande colpo di genio della politica italiana, il fiore all’occhiello dello spirito post-bellico del nostro
Paese, successivamente affievolitosi. Lo stesso slancio innovatore che aveva creato i presupposti per il
boom economico e dunque il trascinamento dell’Italia verso una ricchezza prima sconosciuta.


Alla fine degli anni settanta la società mostrava già le sue crepe, i dissidi e l’irrequietezza pervadevano di
sovente l’animo delle nuove generazioni, i venti di rivolta soffiavano forti. Mentre la politica era inerme
difronte al desiderio di cambiamento auspicato da ampi strati di popolazione, senza saperne interpretare le
istanze, senza riuscire a capirne le intime motivazioni, il ministro Tina Anselmi riusciva a utilizzare gli
strumenti democratici, all’epoca minacciati da gruppi terroristici di varia natura e appartenenza politica, al
fine dell’approvazione di uno dei sistemi sanitari migliori del mondo, se non come qualità, certo quanto a
diffusione delle cure.

Nello stesso anno in cui le Brigate Rosse erano all’apice della propria azione,
culminata nel rapimento e successiva uccisione del Presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro e
massimo era l’attacco apportato dall’organizzazione all’esistenza stessa della Repubblica.
Fu un capolavoro, si passava dagli enti mutualistici e le casse mutue in cui l’erogazione delle cure era
strettamente legato alla condizione lavorativa, all’applicazione dell’articolo 32 della Costituzione, che
identifica lo Stato come ente garante della salute dei cittadini, essendo essa un diritto dell’individuo ed
elemento da proteggere e valorizzare nell’interesse della collettività.


Facendo poi un brevissimo excursus storico è in obbligo la menzione degli anni novanta, tempo in cui il
governo Amato, con ministro della salute De Lorenzo, iniziò la regionalizzazione della salute. Gli ospedali
vennero trasformati in aziende sanitarie locali con un’autonomia propria, sebbene ancora rispondente al
potere centrale. Correva l’anno 1992, tangentopoli e il prelievo forzoso sui conti correnti per evitare il
tracollo economico di una Stato vicino al collasso, minato dalla crisi economica, ma anche e forse
soprattutto dalla stagione stragista attuata dalla mafia, elementi che fecero nuovamente vacillare la
credibilità dello Stato davanti agli occhi severi degli osservatori internazionali.


Seguirono poi altre modifiche e riforme, come quella voluta dal Ministro Bindi che, tra le altre cose, istituiva
i livelli essenziali di assistenza, ossia quelle prestazioni sanitarie definite come minime e dunque
obbligatoriamente erogate dal Sistema sanitario nazionale (SSN).
Quello che conta è che, nonostante le modifiche intercorse, le riforme e i correttivi apportati, il SSN ha
sempre retto. Finora si è sempre riusciti a salvarne le istanze fondamentali, facendo fronte al bisogno di
salute della popolazione.
Negli ultimi anni però il mondo e con esso l’Italia sono cambiati, facendo emergere nuovi problemi, fino ad
ora più o meno dolosamente non affrontati.

Così il nostro Paese sembra abbia subito in pochi anni la concorrenza sanitaria dell’Europa. Non ha saputo
agganciarla, stavolta non dal punto di vista dei pazienti, e cioè della qualità delle cure che rimangono di alto
livello, ma per quanto attiene ai lavoratori del settore.
È questa la nuova minaccia. Sono ora medici,
infermieri, tecnici, oss che sembrano disaffezionarsi sempre di più al proprio datore di lavoro, il SSN.

Poco a poco si è assistito quindi all’avanzata di una concezione di sanità sempre più privata.

La monetizzazione della salute, in cui al fianco del sistema pubblico sempre meno in grado di garantire
efficienza e adeguate tempistiche di trattamento, ha preso piede un sistema privato, che in alcune regioni è
ormai dominante. Si tradisce dunque il diritto alla salute, ossia il già citato art.32 delle Costituzione e quel
che è peggio, si creano enormi disuguaglianze tra ricchi e poveri, aumentando sempre di più il divario tra i
differenti strati di popolazione. I vari governi hanno tagliato al comparto sanità circa 37 miliardi di euro
negli ultimi 10 anni. Questo ha voluto dire per il SSN cedere sempre più competenze ai privati, stipulando
convenzioni.
Anche la nostra Provincia autonoma sembra ora doversi confrontare con un problema fino a pochi anni fa
quasi sconosciuto, ossia lo scadimento del proprio Sistema sanitario: medici che abbandonano il pubblico
stremati e insoddisfatti, liste d’attesa infinite, migrazione sanitaria. A tutto questo si contrappone un
immobilismo politico intollerabile.


A parole il SSP è difeso da tutti ma alla prova dei fatti l’attuale Giunta sembra brancolare nel buio più
totale, nessuna strategia, nessuna pianificazione per la sanità dell’imminente futuro, nessuna capacità di
ideare strumenti convincenti per tamponare l’emorragia di medici e invertire la rotta,
per promuovere un
sistema in potenza ottimo ma bisognoso di rilancio. Anzi ho l’impressione si tenti volutamente di minare
sempre più il sistema pubblico, addirittura speculando anche tramite l’edilizia sanitaria, proponendo, per
esempio, un insensato progetto qual è l’Ospedale a Masi di Cavalese, naturalmente voluto dai privati. Senza
un minimo di pianificazione futura, in un momento di carenza di medici persino nel capoluogo, nonchè di
estrema incertezza in merito al destino dei nosocomi periferici, si presenta, peraltro in maniera truffaldina
e poco trasparente, un progetto di un nuovo ospedale, che cambierebbe per sempre la vita non solo
sanitaria, di una intera valle. Sullo sfondo poi, la questione del nuovo ospedale di Trento, storia infinita e
non più procrastinabile.


Forse giudicata troppo difficile la partita dell’ospedale provinciale, hanno spostato le mire su qualcosa di
più piccolo per far guadagnare gli amici? Può darsi. Sta di fatto che sembrano agire in maniera totalmente
dissociata dalla razionalità, anche per loro, che da inesperti si sono trovati a governare una
macchina delicata e complicata come quella autonomista.


Inoltre la scelta della creazione della nuova Facoltà di medicina a Trento sembra non rispettare le più
basilari regole del buonsenso
. Come giustamente evidenziato da molti, tra gli altri dal segretario generale
Anaoo su Quotidiano Sanità (giornale di settore), il problema della carenza di medici è da ricercarsi nel
post-lauream, cioè in coloro che laureati e abilitati alla professione non accedono poi al percorso delle
specializzazioni, obbligatorio per qualunque medico. Fondare una nuova Scuola di medicina (il termine
“facoltà” è invero desueto ai sensi dell’entrata in vigore dell’ultima riforma del settore) in uno Stato non in
grado di garantire la formazione ai laureati esistenti,
i quali vanno a costituire il famoso “imbuto
formativo” cioè quel collo di bottiglia formato dai medici laureati e abilitati alla professione che rimangono
privi del posto per specializzarsi nella branca scelta, per poi divenire medici specialisti e dunque fruibili per
il SSN, è un controsenso.

Per di più il progetto così presentato non sembra offrire qualcosa di innovativo,
ma un mero doppione delle più titolate università che circondano la nostra provincia (da Innsbruck a
Bologna, e da Milano a Padova), senza considerare i costi di mantenimento di un’accademia di medicina.
Ben altra valenza avrebbe avuto la proposta di progetto serio, che vedesse la creazione di un’Accademia
sovraregionale guardando all’ Euregio, cioè di ampio respiro culturale e scientifico, in cui la formazione e le
occasioni di carriera racchiudessero una sintesi delle diverse esperienze in campo medico, formando
dunque un professionista moderno ed europeo, così come richiede la società dei nostri tempi.

Una sfida
che attualmente non è stata colta da chi di dovere. Proprio di questi giorni è la triste notizia del primo
bilancio negativo dell’Ateneo trentino, in rosso di ben 4 milioni di euro, situazione inedita in sessanta lunghi
anni di storia. Questa la dice lunga su come la Giunta tratti la cultura nonché sul suo metodo d’azione,
ovvero il non metodo, basato su slogan arcipopulisti figli di una politica superficiale e inadatta mirata all’accaparramento dei voti nell’immediato, una campagna elettorale perenne che urla molto e conclude poco.


Ecco che dunque anche il Trentino riesce a farsi un incredibile autogol, sfornando laureati senza poi
permettere loro di completare il percorso.
Qui si innesta poi la complessa discussione sulla migrazione dei
nostri giovani medici all’estero, dove oltre a trovare posti, direi piuttosto facilmente, sperimentano
metodiche lavorative dinamiche, che poco hanno a che fare con i nostri macchinosi e ormai poco attuali
reparti universitari. Non può certo essere tralasciato la voce stipendiale, che in Italia è irrisoria, un insulto al
professionista e una vergogna per lo Stato che si ostina, unico in Europa, a considerare lo specializzando
una specie di studente, seppur titolato.

Un cenno merita poi il trattamento che riceve di sovente il giovane medico anche dal punto di vista professionale, tra soprusi, minacce e modus operandi dei primari universitari che, generalmente assumono certo comportamenti né onesti né adeguati all’Istituzione che rappresentano, l’Università, la quale dovrebbe essere la massima espressione culturale di un Paese e invece
si riduce spesso a covo di clientelismi e lacchè, su questo si potrebbe esemplificare per pagine e pagine, ma
sarebbe un racconto trito, di cui però non si può non fare menzione dato che rientra tra i fattori che
privano l’Italia di giovani in generale e dunque anche e soprattutto, di giovani medici, stante la lunghezza
del percorso con annessa necessità di sopportazione delle situazione per un lungo lasso di tempo.


Tutto considerato quindi, sempre più neo abilitati migrano dove ricevono un trattamento consono alla loro
figura, il medico, per cui hanno studiato e faticato per ben sei lunghi anni.
E fanno bene. Bisogna
sottolineare che i due aspetti, cioè trattamento economico e personale, costituisco un connubio
incredibilmente potente per convincere gli interessati ad abbandonare l’Italia. Talmente micidiale da
escluderla a priori da qualsiasi possibilità di confronto, non può reggerle, tanto è indietro. Taluni possono
chiedersi perché mai “la bomba” sembra essere scoppiata negli ultimi anni. La risposta è relativamente
semplice.


Tra le innumerevoli positività recate dall’ Europa, può essere annoverata anche una sempre più agile e
facile mobilità lavorativa tra gli Stati membri. Fino a pochi anni fa le carte da compilare erano moltissime e i
tempi di attesa molto lunghi, ora tutto è cambiato e dato che ogni professione, inclusa quella medica, ha un
mercato…il gioco è fatto, la via è spianata, i numeri impietosi.

Tra il 2009 e il 2012 le richieste di certificati di congruità, essenziali allo svolgimento della professione all’estero erano 5000, l’aumento vertiginoso delle domande ha visto le richieste aumentare sino a contarne 2000 nel solo 2014. Nel 2010 prendeva
finalmente forma l’importante documento “WHO Global Code of practice on the international recruitment
of Health Personnel”, che nella parte in cui ascrive alla mancanza di personale sanitario altamente e
continuamente istruito lo scadimento della perforamance di un sistema sanitario, in molti leggono un
ammonimento ad hoc per il nostro paese. La questione coinvolge, naturalmente, anche i professionisti
formati, cioè specialisti, che sempre più spesso scelgono di abbandonare l’Italia, dato che il 52% per centro
della mobilità sanitaria europea è costruita da medici italiani. Ma non è finita, anche coloro i quali riescono
a entrare in quello che dovrebbe essere un diritto, cioè nel percorso di specializzazione, proprio a causa
delle condizioni sopracitate a un certo punto, sfiniti, abbandonano la Scuola di specializzazione scelta. Si
pensi che gli ultimi dati narrano di 6 mila giovani medici che, sottopagati e sfruttati dal sistema italiano,
fuggono dal nostro Paese per andare altrove. Su 30.452 contratti di specializzazione banditi dal Ministero
(anni 2021-2022) sono 5.724 quelli non assegnati o abbandonati. In percentuale si parla del 20% cioè 1 su 5.
Per un Paese in forte carenza di sanitari è una quota molto alta che tradisce anche un fallimento del
sistema, evidentemente per nulla attrattivo.
… e allora, come facciamo?


Dunque è chiaro che al professionista è necessario offrire carriera innanzitutto, il giusto corrispettivo
economico, tranquillità e serenità lavorativa. L’ APSS, ossia la nostra Azienda ospedaliera provinciale, nei
prossimi anni subirà una profonda ristrutturazione, sia come personale che come strutture. Verrà in sostanza rivoluzionato l’intero sistema, e scrivo rivoluzionato e non riformato, data la necessità di qualcosa
di più di una semplice “revisione” dell’esistente.


Per attuare l’ambizioso piano e permettere, in ultima analisi, la sopravvivenza della sanità pubblica, è
necessario, a mio avviso, sfruttare al massimo le prerogative concesse dalla nostra autonomia, che in
questo come negli altri ambiti deve tornare ad essere protagonista nel proporre idee innovative, offrendosi
come laboratorio di nuovi progetti.

Questo passa per la riorganizzazione degli ospedali di valle i quali devono identificarsi per una
specializzazione di punta, accanto alla creazione di spazi adeguati che possano offrire alla popolazione i
servizi di base di ogni specialità medica, creando così dei centri massimamente indipendenti, limitando così
la centralizzazione, che rende l’esistenza dell’ospedale periferico insensata e insostenibile. Indispensabile è
poi un miglioramento in merito alla questione del sovraffollamento dei Pronti soccorsi (PS), fenomeno a
mio avviso affrontabile tramite la creazione di ambulatori (o poliambulatori) diffusi sul territorio in grado di
trattare le patologie minori in cui il medico di medicina generale o specialista possa, coadiuvato da
personale infermieristico e in una struttura adeguatamente attrezzata, trattare le affezioni di minor rilievo.
Questo permetterebbe di superare le ormai obsolete guardie mediche dove medici soli e privi della
strumentazione necessaria, si trovano di sovente e dover indirizzare il paziente al PS più vicino, pur
trattandosi di patologie classificate come codice bianco, cioè quelle prestazioni che non sono riconosciute
come urgenti e che pertanto dovrebbero essere risolte dal medico generalista.


Deve anche essere completamente rivisto il percorso di formazione della medicina di base, già di
competenza completamente provinciale. Personalmente non vedo alcun senso nel mandare i corsisti per
due, tre settimane nei reparti senza dare un dettagliato programma e un adeguato tutoraggio affinchè
possano effettivamente accrescere le proprie competenza sulla materia di volta in volta trattata. Anche lo
strumento della videoconferenza, esploso con il Covid, si rivela molto utile, così come quello di rendere
disponibile il materiale didattico sulla rete. Penso, per esempio, a quanto sia utile disporre di iconografia in
un campo come la dermatologia.

Vale di più un corso di lezioni in videoconferenza magari anche registrate
e dunque sempre a disposizione, con una spiegazione delle differenti patologie cutanee corredata da molte
foto, che poi il discente fissa nella mente per riconoscere le differenti affezioni cutanee, piuttosto che un
tirocinio in cui egli è “gettato” in corsia senza un vero scopo. Inoltre è a mio parere di molto buon senso per
un medico di medicina generale saper eseguire in maniera adeguata gli esami strumentali di base come
l’ecografia, e l’elettrocardiogramma il cui insegnamento dovrebbe occupare periodi lunghi all’interno del
percorso. Sono degli esempi, ma esprimono il desiderio di creare, alla fine del percorso, dei medici
generalisti in grado di affrontare l’inquadramento base delle patologie, senza dover indirizzare subito il
paziente in PS o dallo specialista. Il medico di base deve riacquisire il proprio ruolo, importantissimo, di
perno della sanità territoriale, di “smistatore” della sanità, che sappia indirizzare l’utenza quando
necessario e adeguatamente all’esecuzione degli accertamenti realmente necessari.


L’innovazione maggiore, a mio avviso, quella dove la nostra autonomia potrebbe davvero esprimere la
propria qualità e lungimiranza, è connessa alle specializzazioni mediche. Nessuno è infatti contrario
all’istituzione di un centro di formazione universitario nella nostra provincia. Ma tutto dipende, come
sempre, dal contenuto della proposta. E’ difficile pensare a un futuro di sviluppo se il progetto è quello di
una Scuola di medicina (ex Facoltà) in senso classico.

Non esiste bacino d’utenza, nè numeri. Inoltre i costi da giustificare e recuperare sono altissimi. Una Scuola di medicina consuma, da sola, circa i due terzi dell’attuale bilancio (già in rosso di 4 milioni di euro, sic!) dell’Ateneo trentino. Diverso è più attraente è un progetto, sempre universitario, rivolto al post lauream. Si tratta di avviare, sfruttando le prerogative
concesse dall’autonomia, un percorso di formazione specialistica su base provinciale, in cui l’Apss possa
offrire percorsi d’eccellenza tramite convenzioni con centri italiani ed esteri, possibilità di ricerca,
formazione e perfezionamento che consentano al medico quell’interscambio fondamentale per la
preparazione indispensabile ai lavoratori della sanità del presente e soprattutto dell’imminente futuro.

Per questo l’Euroregione rappresenta una potenzialità tutta da sfruttare che permetterebbe un arricchimento
culturale e personale immenso. Chi di noi medici ha avuto la fortuna di poter svolgere un periodo all’estero
sa quanto affascinante e insostituibile sia il confronto scientifico con i colleghi di altre nazioni. Il valore
universale del sapere medico consente di accrescersi velocemente, se inserito in un ambiente stimolante,
facendo propri metodi di lavori differenti per poi portarsi dietro un bagaglio culturale magari da esprimere
tornati nella propria sede. Questo genera qualità, che va oltre la medicina, naturalmente.


Quando descritto è quello che è già in atto in molti centri europei, le connessioni, la qualità portano a
possibilità di carriera altrimenti inconcepibili e creano infine attrattività, scopo finale per trattenere i medici
sul territorio. A proposito di quest’ultimo elemento, l’attrattività, attualmente perduta in un sistema ormai
stagnante, è connesso il cambio di inquadramento contrattuale dello specializzando, che dovrebbe essere
considerato un medico a tutti gli effetti, come in realtà è in tutti i paesi d’Europa, ma che purtroppo in Italia
continua ad essere considerato una specie di studente seppur “senior” per così dire.

E’ormai d’obbligo per un’autonomia che creda in se stessa, offrirsi come laboratorio di sperimentazione per l’istituzione della
figura del “Dirigente medico in formazione” che offra al giovane collega uno stipendio adeguato, ora è solo
una borsa di studio, un riconoscimento pensionistico pieno degli anni di specializzazione, straordinari pagati
e tutte le tutele connesse a un professionista vero e proprio. Ritengo inoltre che la formazione medica
debba, per forza di cose, cessare di essere universitaria per divenire un percorso clinico, così come già è nei
più avanzati Paesi europei. Ma questo obiettivo non può che essere raggiunto per gradi, stante l’esclusività
della competenza statale in materia. Nel prossimo futuro l’obiettivo è inserire una proposta di formazione
provinciale nel percorso accademico che sappia cioè offrire quanto sopradescritto, rimanendo nei confini
delle competenze provinciali, gestendo quindi con sagacia e maestria le competenze della nostra
autonomia speciale, rimaste purtroppo silenti in questi ultimi cinque bui anni di governo delle destre
populiste.


Va da sé che ogni proposta di riforma, soprattutto se radicale, necessita di confronti continui con le parti
interessate. In questo caso deve quindi essere data a tutti i lavoratori delle sanità, l’opportunità di
partecipare e discutere dei cambiamenti di cui saranno protagonisti. Solo così, a mio avviso, nasceranno
progetti validi, le riforme calate dall’alto, imposte da politici poco competenti, che rifuggono il confronto,
ben consapevoli della contrarietà che incontrerebbero le loro proposte, se fosse data voce in capitolo alle
parti interessate, hanno vita breve e rischiano di creare situazioni peggiori di quelle esistenti. Il confronto è
l’anima di una politica vitale, la linfa di una società duttile e cangiante, in grado di cogliere le occasioni,
incanalare le istanze della popolazione e tradurle in energie positive, stimolanti e produttive.
Questa, a mio parere, è la strada giusta che sta intraprendendo la coalizione di centro sinistra. Una politica
sobria e non urlata, che si sofferma su temi importanti spiegandoli alle persone, che non ha bisogno di
organizzare piazze per autocompiacersi della paura della gente a cui peraltro non sa fornire soluzioni
adeguate e concrete per le problematiche quotidiane. Nutrirsi di malcontento non fornisce un buon
supporto alla popolazione, di converso ne aumenta la frustrazione, pericolosamente fino a farla esplodere.
Certo è che per sfruttare l’autonomia è innanzitutto necessario conoscerne le regole, il delicato
meccanismo e i complessi alambicchi che ne governano il funzionamento.

Federico Busetti

23 Maggio 2023 0 Commento
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Carriera dei docenti? Nessuna innovazione questo disegno di legge, solo un’ulteriore ferita al sistema scolastico!

Da Paola Demagri 23 Maggio 2023

Luigi Panizza già Assessore all’Istruzione, componente di Casaautonomia.eu

Sto seguendo con molto interesse il dibattito in corso sulla stampa relativamente al disegno di legge “Misure per il miglioramento organizzativo delle istituzioni scolastiche….” di iniziativa della Giunta provinciale su proposta dell’assessore Mirko Bisesti.

Per un po’ di credibilità di quanto andrò a dire informo che sono stato insegnante, preside di Scuola Media ed Assessore Provinciale all’Istruzione. Nell’ultima veste sono stato autore della Provincializzazione della Scuola trentina,  presentatore dei disegni di legge sull’autonomia scolastica, dell’insegnamento delle lingue straniere con l’introduzione della lingua inglese nella scuola, interventi relativi alla riforma della scuola professionale, per citare i provvedimenti più importanti. Come non dire qualcosa quindi sul disegno di legge in discussione sulla scuola? L’ho letto ed alla fine mi sono chiesto: ma che novità ci sono se non quelle di complicare quanto  già esiste? Una cosa è certa: la qualità della scuola la fanno i docenti secondo il detto “la qualità della scuola passa attraverso la qualità dei docenti”.

I docenti nella scuola sono come il motore in una macchina. Ora ho sentito tanti commenti su questa legge e di questi ne condivido diversi. Non ho sentito il pensiero dei docenti o mi è sfuggito. Sì, perché dai docenti dipende la concreta applicabilità della legge. Senza di loro è come fare i conti senza l’oste.

Venendo alle osservazioni fatte, bene è stato detto che quanto si vuole innovare in pratica già si fa o si dovrebbe comunque fare con le risorse già esistenti. Nella scuola c’è il dirigente scolastico, ci sono gli organi collegiali: collegi docenti, consigli di classe con i coordinatori, eventuali gruppi di lavoro disciplinari ed interdisciplinari che operano a seconda delle esigenze che emergono sia negli incontri fra docenti che in collaborazione con le famiglie. Nelle scuole di ogni ordine e grado già esistono figure particolarmente preparate che spontaneamente e non burocraticamente mettono a disposizione degli altri la loro particolare sensibilità, preparazione ed esperienza. Quindi nelle scuole ci sono comunque e ovunque insegnanti che svolgono i ruoli previsti dalla legge (esperto…) senza tanti concorsi e pericolose graduatorie che non giovano all’armonia scolastica.

Cosa aggiungono i concorsi alla preparazione che già possiedono i concorrenti che prestano servizio nelle scuole’? Vogliamo solo burocratizzare, magari a scapito di risorse già disponibili ed efficaci? Invece ritengo molto utile finanziare corsi di aggiornamento per le innovazioni e su temi di carattere pedagogico, psicologico e didattico molto importanti per i docenti e non presenti in tanti corsi universitari che abilitano ugualmente all’insegnamento. Come pure sono importanti le collaborazioni esterne con esperti su precise iniziative relative alle nuove tecnologie, alla salute (alimentazione, alcool, fumo), all’ambiente, alla storia locale con testimonianze degli anziani, ecc…. Tutto iniziative che in tante scuole già sono presenti.

Aggiungo che la scuola non è stata istituita solo per istruire, ma deve anche e soprattutto saper educare, preparare cittadini responsabili che sanno utilizzare bene ciò che hanno appreso nella scuola attraverso le varie discipline. Gli studenti non sono solo contenitori da riempire di nozioni, ma soprattutto sono fuochi da accendere. Istruzione ed educazione devono andare a braccetto perchè sono due facce della stessa medaglia. Nella scuola l’educazione è talmente importante che in Francia il Ministero che fa capo alla scuola si chiama  “Ministero dell’Educazione”.

Non sono quindi i concorsi che possono migliorare la preparazione all’insegnamento. Anche la responsabilità del dirigente scolastico verrebbe, se non oscurata, un po’ confusa e resa di difficile gestione dalle nuove figure previste. In che posizione verrebbe a trovarsi il dirigente scolastico in base a norme già esistenti e di sua competenza e responsabilità? A mio modesto avviso la legge invece di percorrere la strada di un maggiore coinvolgimento del corpo docente apre la porta a deleghe difficilmente gestibili. Alle suddette osservazioni c’è da aggiungere che il disegno di legge è troppo generico e non si sa alla fine in concreto che cosa si va ad approvare.

Troppi spazi operativi vengono demandati a provvedimenti successivi. In conclusione quali vantaggi ne trae la scuola con questo disegno di legge? Non si rischia di turbare, complicare e forse danneggiare ciò che già funziona? Forse è meglio attivarsi per altre strade ed impegnare meglio le risorse per l’istruzione se si vuole migliorare ulteriormente la qualità della scuola trentina. Mi sono permesso di dire quanto sopra solo per offrire spunti di riflessione prima di assumere decisioni definitive in merito al nuovo disegno di legge sulla scuola. 

Luigi Panizza già Assessore all’Istruzione, componente di Casaautonomia.eu

23 Maggio 2023 0 Commento
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L’Euregio diventi popolare

Da Paola Demagri 16 Maggio 2023

La festa dell’Euregio è un’occasione di riflessione sulla nostra autonomia a 360 gradi.

Innanzitutto bisogna capire quali obiettivi potranno essere di questo GECT (Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale). Sappiamo cos’è oggi l’Euregio, ma pochi hanno in mente cosa potrà essere in futuro.

Oggi l’Euregio è stato sviluppato molto sotto il profilo istituzionale, tuttavia, come da regolamento GECT, non prevede un organo politico eletto direttamente dai cittadini. Inoltre, come citato dal sito dal parlamento europeo:”i poteri dei GECT sono limitati dalle prerogative dei rispettivi membri. Le prerogative di potere pubblico, come ad esempio la definizione delle politiche o le attività di regolamentazione, non possono essere trasferite a un GECT.”
Riguardo a questo, una riflessione su come superare o su come chiedere una modifica del GECT, sarebbe utile farla.

Da un punto di vista culturale e sociale, questa cooperazione territoriale si fonda sulle radici storiche del Tirolo unito. Questa motivazione storica presenta dei vantaggi ma anche dei svantaggi.

Riguardo invece l’aspetto della partecipazione e coinvolgimento della popolazione, l’Euregio risulta ancora in fase embrionale, visto che la bella iniziativa del Consiglio delle cittadine e dei cittadini dell’Euregio non ha espresso le sue effettive potenzialità.

Casaautonomia.eu non nasce solamente per “pensare” l’autonomia ma anche per “sognarla”. Noi, europeisti ed autonomisti, proponiamo i seguenti indirizzi politici:

1) Sviluppare gradualmente il GECT al fine di poterlo “superare” per costituire la prima vera “Unione Regionale Transnazionale Europea”. In alterntiva, bisognerebbe chiedere la modifica dell’articolo 7 comma 4 del regolamento del GECT che vieta qualsiasi funzione legata alla sovranità come per esempio l’attività legislativa.
Questo comporterebbe la modifica radicale del regolamento GECT, dello Statuto speciale della Nostra Regione, del Titolo V della Costituzione Italiana e della Costituzione Austriaca.
Sembra assai utopica questa proposta, tuttavia Alcide De Gasperi fu molto più utipico nel volere una Unione Europea in anni di guerra.

2) L’incontro tra più culture come connotazione, ovvero:
L’Euregio non basato sulla cultura tirolese come riferimento mistico ma su una pluralità di identità tra cui quella trentina, quella della minoranza italiana sudtirolese e quelle delle altre minoritarie.
Se si riuscirà a fare ciò, si costruirà una regione laica e veramente europeista.
Purtroppo siamo ancora distanti da una accettazione piena delle varie culture. Non è un caso che una dottoressa siciliana, bilingue, sia dovuta “scappare” dalla provincia di Bolzano perché oggetto di mobbing a causa della sua scarsa conoscenza del dialetto sudtirolese. Su questo, CasaAutonomia.eu si impegna a promuovere e tutelare anche il diritto ad una effettiva accettazione delle varie identità “non tirolesi” nel quadro dell’Euregio. Per una maggiore convivenza auspichiamo lo sviluppo delle scuole bilingue in Alto Adige e l’incremento del numero di ore di studio del tedesco nelle scuole Trentine e viceversa, suggeriamo al Tirolo di incentivare lo studio dell’italiano nelle sue scuole. Proponiamo inoltre incentivi scolastici per erasmus a Innsbruck o Bolzano e per gli insegnanti tirolesi che potrebbero venire ad insegnare in Trentino. Queste proposte risultano utili anche per le nostre imprese che potranno assumere più facilmente personale bilingue e esperto della nostra euroregione.

3) Un altro aspetto molto rilevante, forse il più rilevante di quelli già menzionati, è quello del coinvolgimento della cittadinanza nelle dinamiche di decisione e di sviluppo in ambito Euregio.
Il consiglio delle cittadine e dei cittadini dell’Euregio è stata un’ottima idea che però non è stata connotata per popolarità. Suggeriamo di…

16 Maggio 2023 0 Commento
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Casa Autonomia.eu presenta Doriano Valer, candidato in Val di Non

Da Paola Demagri 16 Maggio 2023

Dalla Val di Non Casa Autonomia.eu presenta Doriano Valer, nuovo candidato per la lista dei gialli. Professionista nel campo delle forniture industriali, il suo lavoro lo ha portato spostarsi sul territorio Trentino e ad entrare in contatto con varie realtà. Già candidato alle politiche del 2022 con Azione, Doriano ha deciso di portare avanti la propria esperienza di servizio con Casa Autonomia, un Movimento a detta sua “nuovo, modernp, consapevole delle sue origini, ma un po’ meno folcloristico e più attento alle nuove esigenze di dinamicità ed elasticità necessarie per sviluppare politiche di concreta collaborazione con l’Alto Adige, Roma e la comunità Europea”. Segue la sua presentazione.

Ciao a tutti, mi chiamo Doriano Valer, abito in Val di Non a Campodenno; professionalmente mi occupo di forniture industriali e per lavoro mi sposto su tutto il Trentino, entrando in contatto con realtà produttive di piccola e media grandezza. Aderisco alla lista Casa Autonomia.eu con la consapevolezza di trovare la medesima collocazione politica di Azione; entrambi con una visione di centro.

Casa Autonomia.eu regola la sua attività in una dimensione Autonomista di territorio: nuova, moderna, consapevole delle sue origini, ma un po’ meno folcloristica e più attenta alle nuove esigenze di dinamicità ed elasticità necessarie per sviluppare politiche di concreta collaborazione con l’Alto Adige, Roma e la comunità Europea.

Come ho sempre sostenuto la politica è fatta dalle persone, dalla cultura e dalle tradizioni che ne hanno plasmato il carattere, il modo di concepire e sviluppare un senso di appartenenza, che non può e non deve divenire autoreferenzialismo, ma una base di partenza su cui costruire una narrazione di apertura coraggiosa a temi nazionali e europei, evitando così, come diceva Kessler, di creare un Trentino piccolo e isolato.

Ho candidato il 25 settembre scorso alle elezioni politiche nelle file del Terzo Polo, presentandomi con umiltà e soprattutto spirito di servizio. Oggi farei personalmente la stessa scelta in campo nazionale, nonostante esista questo sistema di governance politica affidata al solo leader, mi trovo in accordo con la necessità di guardare al tema senza pregiudizi ideologici di appartenenza a uno dei due poli, sinistra o destra del sistema politico nazionale.

Con lo stesso spirito di servizio mi metto a disposizione di Casa Autonomia.eu, movimento civico collocato in un’area programmatica liberale, attento alle necessità del territorio e libero da condizioni precostituite. Sono pronto a farmi da parte a favore di donne e uomini in grado di veicolare in modo più incisivo le proposte alternative all’attuale maggioranza di destra; parliamo di sanità, educazione scolastica e lavoro fondamenta di ADA.

Sono padre e conosco le reali difficoltà dei nuclei familiari e le continue sfide quotidiane da affrontare per armonizzare la vita professionale con quella privata, condizione notevolmente acuita per le Mamme soprattutto se residenti nelle valli Trentine.

Il tema dei giovani e dell’immigrazione qualificata sono convinto siano argomenti per cui valga la pena mettersi in gioco, pensare ad un welfare capace di rispondere alla collettività non può prescindere da una visione politica in grado di fare proposte strutturali capaci di rispondere alle richieste delle nuove generazioni. Se non vogliamo trovarci a vivere in un ambiente bellissimo ma sempre più isolato è il momento di programmare un cambio di rotta, iniziando a guardare al futuro per migliorare il presente.

Siamo stati capaci di farlo creando un sistema scolastico e universitario tra i più eccellenti; cerchiamo ora di creare un Trentino più attrattivo in grado di soddisfare le comprensibili attese de nostri figli e dei giovani pronti a scommettere nuovamente sul nostro territorio.

Credo sia doveroso e indispensabile impegnarsi per produrre proposte politiche in grado di contestualizzare anche una nuova visione della prerogativa di Autogoverno, credo vada ridefinito il rapporto province Autonome di Trento e Bolzano nei confronti della Regione. Un’assemblea Regionale ormai con competenze ridotte, spesso chiamata a ratificare norme provinciali, potrebbe essere istituzionalizzata sul modello della commissione Europea, organo di indirizzo e di emanazione della volontà degli stati, in questo caso le Provincie autonome, che attraverso una sinergia d’intenti potrebbero occuparsi di Euregio e anche di relazioni con le Regioni limitrofe, proponendo la nostra specificità come esempio virtuoso e non come un mero vantaggio amministrativo. Credo sia necessario rilanciare la conoscenza della nostra Autonomia, stiamo purtroppo assistendo ad una continua perdita di valori a fronte di una più marcata attitudine amministrativa, questo appiattimento burocratico apre il rischio di omologazione con le regioni a statuto ordinario, quest’ultime chiamate ad una riorganizzazione delle lore competenze in virtù della nuova norma sulla Autonomia Differenziata; vedo un rischio dei LEP (livello essenziale prestazione) concretamente; Regioni con una più debole e meno organizzata macchina amministrativa tenderanno a ridurre i LEP delle competenze acquisite chiedendone un armonizzazione nazionale che ci vedrebbe ridurre il livello raggiunto. Questo rischio pone la necessaria attenzione della politica locale, ma anche una vigile e costruttiva partecipazione della comunità Trentina nel definire il prossimo governo Provinciale. Il proseguimento dell’attuale maggioranza, espressione di partiti centristi nazionali porterebbe quanto meno ad un confronto Stato Provincia debole, rispetto ad un governo forte di una alternativa fondata su un Alleanza Democratica Autonomista.

16 Maggio 2023 0 Commento
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Giornata internazionale della famiglia

Da Paola Demagri 15 Maggio 2023

A seguito della risoluzione 44/82 del 9 dicembre 1989, in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il primo “Anno Internazionale della Famiglia”, nel 1993, con la successiva risoluzione A/RES/47/237, l’Assemblea Generale ha deciso che a partire dal 1994 il 15 maggio di ogni anno debba essere osservato come Giornata internazionale della famiglia, dedicandola al “fondamentale gruppo sociale e l’ambiente naturale per lo sviluppo e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare i bambini”.

L’edizione di quest’anno è dedicata al tema “Tendenze demografiche e famiglie”.

Questa giornata rappresenta un invito a riflettere sul ruolo fondamentale della famiglia e quest’anno, in particolare, punta ad accrescere la consapevolezza dell’impatto delle tendenze demografiche sui nuclei familiari.

Uno dei tanti aspetti da considerare a riguardo è sicuramente la denatalità, sia a livello nazionale che locale.

Il Trentino purtroppo non fa eccezione, secondo i dati Ispat, siamo passati dal 38,0% delle coppie con figli del 2008 al 33,9% del 2021 e le famiglie monogenitoriali sono passate dal 6.8 del 2008 all’8,2% del 2021. Perfino il tasso di natalità dei residenti stranieri ha visto un crollo, nel 2000 avevano un tasso di natalità del 24,2%, nel 2021 è sceso al 12,4%.

Le famiglie stanno cambiando, ci si sposa più tardi (età media 35,6 anni nel 2020) e di conseguenza il primo figlio nasce da madri over 35. Conseguentemente il numero di componenti per famiglia è calato, anche le famiglie numerose (quella da tre e più figli) sono in diminuzione. 

Per invertire la tendenza serve investire sulla famiglia! Investire su questo fondamentale nucleo permette all’intero sistema di funzionare. Se vogliamo convincere i giovani a metter su famiglia dobbiamo dare un supporto concreto fin dall’università, orari di lavoro flessibili che permettano di conciliare le esigenze delle donne lavoratrici, servono servizi conciliativi e nidi che possano accogliere la totalità delle richieste e che siano economicamente sostenibili, servono alloggi adeguati, in molte zone non è possibile trovare appartamenti in affitto per genitori con figli. 

Dobbiamo ricreare un tessuto sociale che metta la famiglia al centro perché molti genitori si trovano senza parenti vicino, senza nonni o anziani che in passato fungevano da sostegno: tradizioni, consigli, buone abitudini erano un patrimonio prezioso per le nuove generazioni ed esserne privati oggi è un problema in più. Gli anziani sono un tesoro inestimabile e la loro esperienza può essere una risorsa molto utile.

Dobbiamo aver fiducia nel futuro, il nostro Trentino ha fatto tanto e può fare ancora molto per esser un territorio amico della famiglia, tariffe eque su tutto il territorio per quanto riguarda i rifiuti, aiuti per chi risiede nelle valli ma deve raggiungere per studio Trento quotidianamente per mancanza di alternative sul territorio, contributi non “una tantum” ma sostegni duraturi su cui effettivamente si possa contare .

Il cambiamento nello stile di vita delle famiglie del 2023 lo vediamo anche nella fascia 18-21 anni, la maggioranza sono ancora impegnati nello studio, pertanto a carico delle loro famiglie, per questo è importante pensare anche a questo fattore quando si deve effettuare qualche manovra, i ragazzi escono dal nucleo di origine molto più tardi perché si è prolungato il percorso di studi.

15 Maggio 2023 0 Commento
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12 maggio 2023: oggi il pensiero è per l’infermiere.

Da Paola Demagri 11 Maggio 2023


Ripenso alla mia professione, e ritrovo una riflessione fatta nel 2004, con cui voglio iniziare oggi il
mio di pensiero.


“Alla sera, al termine delle mie giornate di lavoro in ospedale, mi fermo a riflettere sulle mie
impressioni di quelle giornate vicino ai pazienti. Mi accorgo che sto crescendo con le loro
emozioni, sensazioni, con i loro discorsi e i loro vissuti. La stanchezza è tanta, ma so che devo
scrivere tutti questi pensieri, perché così li farò vivere per sempre.


Pensandomi, mi accorgo di quante sfumature dell’essere infermiera ho vissuto, visto che ho iniziato
la scuola per infermieri a 17 anni, ancora bambina, sicuramente non sufficientemente matura per
comprendere la malattia e la sofferenza. Ripenso al primo ospedale, che ho conosciuto come
studente, fortemente condizionato da una componente religiosa, che improntava notevolmente la
professione, dandole quasi un significato di “vocazione”. L’obiettivo della scuola era quello di far
diventare delle “brave” infermiere, e per “brave” intendo obbedienti, rispettose di un forte potere
decisionale medico, capaci di assistere e con abilità tecniche per essere operative nella terapia e
negli esami diagnostici; ricordo il quaderno dei miei appunti di infermieristica: un insieme di
infinite indicazioni su come fare una cosa o fare l’altra, ma sempre e solo delle risposte, mai una
domanda, ma allora non sapevo l’importanza delle domande. Ricordo di un prendersi cura dello
studente più dal punto di vista tecnico, che emozionale, come se ci fosse una grande fiducia nella
capacità di rielaborazione delle esperienze,
che sarebbe arrivata con la maturità. Al mattino,
accanto al briefing, c’erano le preghiere dell’inizio giornata con la caposala che era,
generalmente, una suora, e con la suddivisione dei compiti quotidiani. Il de-briefing era il sorriso
della tutor, il suo esserci vicina nei primi passi professionali, la parola di conforto quando si
incontravano le difficoltà.


Ripenso al mio primo incarico, in un ospedale gestito completamente da suore: la terapia delle ore
sei poteva aspettare, l’importante era preparare bene i pazienti per la Comunione. Un po’ mi
ribellavo a questa mentalità ma non avevo la forza di oppormi. Oggi mi rendo conto che non avevo
la forza perché mi avevano formata ad essere così.

La scuola mi aveva formata ad essere preparata nell’assistenza, diligente e rassicurante per il
paziente, che apprezzava la mia disponibilità, per il medico, che apprezzava il mio tacito operare, il
mio non fare domande e il mio “expertise”, o agire pratico dato dall’esperienza, che stavo
accumulando.
Fortunatamente i tempi stanno cambiando ….”


Ho voluto riportare alcune righe di questa riflessione per far comprendere il cambiamento, che
l’infermieristica ha avuto negli ultimi 20 anni.
Cambiamento in gran parte data dalla formazione
universitaria, che ha saputo trasformare la professione, riconoscendole quel valore intellettuale, che
sul campo la rende parte attiva del processo di cura. L’infermiere di oggi è un infermiere
responsabile della propria competenza, del proprio ragionamento clinico, della propria
pianificazione assistenziale, della propria formazione continua. Un infermiere che tiene fede alla
consapevolezza che la cura dei pazienti richiede aggiornamento continuo, al fine di agire
un’assistenza sicura e appropriata.
Oggi, però, è giusto chiedersi se e come sia cambiata l’infermieristica dopo 3 anni di pandemia, che
non solo hanno sconvolto il mondo, ma hanno fatto conoscere l’universo emozionale.

La pandemia ha fatto emergere l’importanza di chi si prende cura dell’altro. L’infermiere, come
tutti gli altri ruoli sanitari, ha saputo gestire tutto l’universo emozionale proprio e altrui, garantendo
la sua presenza, e mettendo a disposizione la sua competenza e la sua esperienza, nell’incertezza di
una situazione sanitaria non conosciuta e non sicura. Mi chiedo se ci fosse proprio bisogno di
questo coraggio, chiamato “eroismo”, per far comprendere all’opinione pubblica il valore della
professione infermieristica. Ma, si sa che ci vuole sempre un eroe per fa accettare il dramma in tutte
le sue dimensioni.

Tuttavia, il dubbio che sovviene è che questo “eroismo” non abbia dato solo un senso di coesione
alla comunità, ma dall’altra parte abbia fatto passare in secondo piano le disfunzioni dei sistemi
sanitari, trasformando la situazione drammatica in “un’avventura” (termine che non vuole
assolutamente banalizzare), in cui l’eroe si trova a combattere contro un nemico, in questo caso il
COVID -19, che avrebbe avuto un lieto fine e “tutto sarebbe andato bene”.
Per gli infermieri quel “tutto andrà bene” ha significato generosità, altruismo, coraggio, forza di
volontà, malattia, e questo non ha nulla a che vedere con l’eroismo, ma con la professionalità, la
competenza, la responsabilità e la dignità di ruolo.

Nel primo anno di pandemia l’infermiere ha curato, trasformandosi nel figlio o figlia, moglie o
marito di ogni paziente, che in solitudine affrontava la malattia, o la fine della sua vita. Ha
rinunciato alla vita privata, anteponendo il bene pubblico alla famiglia e al riposo.
Eppure, l’opinione pubblica, è riuscita con la velocità della luce a passare dal termine “eroi” a
quello del “dovere per scelta”.
Sicuramente la pandemia ha lasciato i sentimenti più diversi: da una parte il ricordo della complicità
nella paura, dell’essere una squadra unita, dell’abbraccio protetto, quando non era permesso
nemmeno darsi la mano, dall’altra, purtroppo, un riconoscimento della professione e della sua
importanza, svanito velocemente. E, oggi, stiamo portando forse più le cicatrici di questo ultimo
aspetto.

Cicatrici, che si manifestano:

  • con la diminuzione importante del numero di giovani che vogliono intraprendere le
    professioni di cura, professioni che richiedono turnistica, che comportano tempo libero a
    rischio e carichi di lavoro importanti;
  • con l’abbandono della professione infermieristica da parte degli stessi infermieri. La
    pandemia è riuscita a mettere in discussione la forza della motivazione professionale: chi
    sente veramente i valori della professione rimane, chi ha scelto la professione per altri
    obiettivi, non regge il carico fisico ed emotivo dell’assistenza;
  • con la scelta degli infermieri di lasciare l’Italia per andare verso paesi esteri, dove la
    professione infermieristica è economicamente più riconosciuta.
    Non posso terminare senza citare Florence Nightingale, colei che ci ha fatto conoscere la
    professione di cura, ricordandoci che “l’assistenza è una delle “belle arti”, la più bella delle belle arti.
  • Richiede devozione e preparazione come per qualunque opera di pittore o scultore, con la
    differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo , ma con il corpo umano..”

Gli infermieri e le infermiere di Casaautonomia.eu

11 Maggio 2023 0 Commento
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Le vere ragioni dell’ostruzionismo 

Da Paola Demagri 10 Maggio 2023

Oggi, mercoledì 10 maggio, i consiglieri Demagri e Dallapiccola del Movimento Casa Autonomia.eu, hanno partecipato alla conferenza stampa sull’ostruzionismo programmato dalle opposizioni in risposta all’assestamento di bilancio proposto dalla maggioranza. Un ostruzionismo che non vuole attaccare la manovra in sé, ma piuttosto le modalità con cui il disegno di legge è stato portato avanti dalla Giunta, come sempre sorda nei confronti delle forze politiche di minoranza.

“La triste verità è che da cinque anni l’attuale maggioranza grida di chiedere la collaborazione delle opposizioni senza volerla veramente. L’hanno fatto anche in queste ore per chiedere l’approvazione di un documento unitario per la risoluzione di life ursus. L’hanno fatto in più occasioni e in più occasioni l’opposizione ha autonomamente proposto strumenti e atti unitari e quindi rappresentativi, ma senza mai ottenere la disponibilità della maggioranza ad un accordo”.

“Il più grande sgarbo è arrivato proprio in questi giorni con la manovra di assestamento. I rappresentanti della maggioranza sono arrivati direttamente in Aula, senza pensare di tenere audizioni o di coinvolgere i rappresentanti dei cittadini, delle categorie economiche, sindacali e quant’altro. Soltanto due minuti prima del termine per il deposito degli stessi, la maggioranza ha depositato i propri emendamenti per la distribuzione dei 318 milioni previsti dalla manovra di assestamento. Nulla da dire sui loro intenti di distribuzione, ciò che critichiamo è la modalità. Ancora una volta la maggioranza si è mossa senza concordarsi con nessuno, decidendo tutto al proprio interno e quindi trascurando l’analisi delle necessità esplicitate dai rappresentanti dei cittadini”.

“Per questo motivo le opposizioni hanno deciso di portare avanti un ostruzionismo serrato, che verrà eliminato soltanto quando questa maggioranza sarà disposta a rimettere tutto in discussione, senza discutere il disegno di legge in Aula, ma riportandolo all’interno della commissione competente, prevedendo le dovute audizioni e discussioni con i commissari per poi infine tornare in Aula. I tempi tecnici ci sono, le possibilità istituzionali per farlo anche. Questo gesto dimostrerebbe che l’emiciclo è veramente il luogo della democrazia, dove tutti i cittadini, anche quelli che non hanno votato la maggioranza, possono sentirsi rappresentati”.

10 Maggio 2023 0 Commento
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Le ragioni della denatalità.

Da Paola Demagri 10 Maggio 2023

SOS il paese invecchia, una montagna da spostare.

Nicoletta Postal

Paola Demagri

Il problema del calo delle nascite emerge oramai su qualsiasi pagina di giornale, in qualsiasi trasmissione televisiva, in qualsiasi confronto politico o tavolo di amici. Emerge con preoccupazione, con perplessità e anche con sofferenza più o meno celata.

C’è la preoccupazione “sociale”, data dal pensiero opportunista “chi pagherà le nostre pensioni?”, dal pensiero nazionalista “gli italiani stanno scomparendo e verranno sostituiti da altre etnie!”, dal pensiero economico “meno figli meno PIL”, e infine, ma non per importanza, dal pensiero sanitario “chi si prenderà cura di noi, quando saremo vecchi?”.

C’è la preoccupazione “di coppia”, data dal pensiero di non riuscire ad avere figli, che alla lunga porta situazioni di disagio emotivo, che possono compromettere la sessualità e, di conseguenza, la fertilità.

Accanto alla preoccupazione si fa strada il coraggio, che si manifesta con il comprendere e/o accettare la propria infertilità, con la fiducia estrema nella scienza, e, quindi, con il ricorso alle tecniche di procreazione medica assistita, con più o meno ostinazione, con successo o infinita illusione/delusione, e talvolta con profonda sofferenza.

In precedenza, abbiamo già analizzato il problema dell’infertilità, osservando tutte le sue dimensioni: sociale, sanitaria, psicologica. Adesso proviamo ad affrontare il problema del calo delle nascite sotto altri punti di osservazione, legati più all’organizzazione sociale, economica ed educativa.

Ecco, che ci troviamo davanti al problema più importante del nuovo secolo, con la generazione Alpha che cerca con apprensione un continuum.

In Thailandia si parla di “triangolo che sposta le montagne”, quando si decide come affrontare un problema. I vertici del triangolo sono: la conoscenza, il governo, e le persone. Far lavorare i tre soggetti insieme può far spostare le montagne.

Per comprendere realmente il problema demografico, forse, è necessario, innanzitutto, conoscere com’ è cambiata la società del nuovo millennio. Uno dei cambiamenti sociali che stiamo vivendo è la tendenza della donna a non mettere più il figlio fra i suoi primi obiettivi, ma la ricerca di un lavoro stabile, di una casa, della realizzazione di sè stessa, perdendo di vista l’orologio biologico.

Alla domanda sul perché si sia aspettato così a lungo per cercare il figlio, le risposte più frequenti sono:

.. Avevo la convinzione che si potessero fare figli a qualsiasi età, nessuno dice che le probabilità calano con l’avanzare dell’età. A scuola ti insegnano a come non avere figli

.. c’è la volontà di potersi affermare a livello professionale dopo gli studi

.. le politiche sociali non incentivano la natalità

.. con la nascita di un figlio, tra i genitori è sempre la mamma a dover rinunciare al proprio lavoro, al proprio tempo libero

.. la mentalità italiana non aiuta la natalità, al nord Europa c’è sostegno su diversi livelli e le donne possono fare carriera e realizzarsi ugualmente. C’è il congedo paternità obbligatorio, che deve fare solo il papà, altrimenti si perde

È, forse, necessario, altresì, conoscere quali siano le difficoltà che la coppia, soprattutto la donna, incontra oggi nella gestione dei figli, fin dalla tenera età.

Ed è parlando proprio con la coordinatrice di un importante asilo nido che scopro aspetti di vita familiare, forse non conosciuti o sottovalutati.

Ascoltando la sua esperienza .. il vissuto delle madri più complesso è il loro senso di colpa fra il desiderio di continuare la propria vita da donne ed il conciliare il ruolo di madri. Lamentano una carenza nel supporto emotivo ed anche logistico, ad esempio posti di lavoro poco flessibili alle nuove esigenze, poche strutture educative con spesso orari ridotti. Si sentono poco supportate dalla società circostante, che spinge alla procreazione senza, tuttavia, aiutare poi nel percorso.

Anche le maestre dell’infanzia confermano il bisogno delle mamme, di non essere condizionate eccessivamente dai figli nell’espressione della propria professionalità o del proprio ruolo sociale conquistato. Infatti, vengono richiesti anticipi e posticipi dell’orario di apertura della scuola.

Quindi, la donna, che si è affermata professionalmente ed intellettualmente, non rinuncia, giustamente, alla sua maternità, ma vive con sofferenza la conciliazione famiglia/lavoro, con la conseguenza di voler esercitare la scelta di quando e quanto spesso procreare, e limitare il numero di figli.

La letteratura ci dice che le donne con istruzione più alta tendano ad avere meno figli, che l’istruzione dia alle donne un maggiore controllo sulla propria sessualità e sulla procreazione. (Marmot, 2016)

Altrettanto reali sono i dati secondo cui il divario occupazionale di genere aumenta notevolmente dopo aver avuto figli. Le madri tendono ad essere meno presenti sul mercato rispetto alle donne senza figli, in tutti i livelli di istruzione e in tutti i tipi di famiglie.

La paternità ha l’effetto opposto sui tassi di occupazione degli uomini, i padri con almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni hanno maggiori probabilità di essere occupati rispetto alle madri. Nel complesso avere maggiori responsabilità di cura porta come conseguenza ad una maggior assenza dai posti di lavoro, alla riduzione dell’orario di lavoro, sino, in alcuni casi, all’abbandonare del tutto il mercato. (Viale , 2020)

Queste testimonianze e dati ci portano al secondo vertice del nostro triangolo: il governo. Come si governa il problema demografico?

Un governo illuminato utilizza qualsiasi persona (terzo vertice del triangolo), intesa come risorsa a sua disposizione, per:

  • rafforzare le politiche di conciliazione vita-lavoro, e in particolare lavorando su congedi non trasferibili da un genitore all’altro
  • individuare supporter sociali (ad esempio la terza età ancora attiva, il volontario sociale, etc)
  • Ridurre il gender-gap a livello di work-life balance (diritto sociale fondamentale di favorire la parità nel mercato del lavoro), ancora importante a discapito della componente femminile
  • flessibilità lavorativa a tutti i genitori che lavorano con bambini fino ad almeno 8 anni
  • supporto emotivo delle madri nei primi anni di vita e supporto organizzativo della coppia nella crescita dei figli
  • spazi di ascolto per famiglie (peer tutoring) per apprendere la genitorialità, che non è innata come il senso di maternità o paternità
  • educazione affettiva nelle scuole orientata all’insegnamento della fertilità, della procreazione responsabile e della sessualità

Questi sono solo pochi esempi di come si potrebbe agire, ma sicuramente la creatività della competenza diffusa può arricchire ulteriormente.

Migliorare il sistema di welfare e non rimanere solo in analisi di dati quantitativi del fenomeno è forse l’unico modo per combattere il calo demografico e spostare le montagne.

10 Maggio 2023 0 Commento
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