






Grazie a chi mi ha dato fiducia e ha apprezzato la mia coerenza. Ricevere oltre 3700 preferenze, oltre 3700 voti di fiducia è un grandissimo onore, oltre che una conferma del lavoro fatto finora. Da parte mia posso promettere di ricambiare la fiducia con impegno, serietà e professionalità.
Grazie di cuore a tutti
A essere sincero avevo detto e mi ero impegnato in questa campagna elettorale di evitare di parlare degli altri e limitarmi ai nostri messaggi di Casa Autonomia.eu, ma purtroppo mi sento costretto a violare questo impegno. Infatti, come si fa a tacere di fronte a certe dichiarazioni fatte dal nuovo Patt a fini puramente elettorali? Siccome c’è il detto che “chi tace conferma” devo, di fronte all’elettorato autonomista in particolare, dire la sacrosanta verità.
Mi riferisco a due colossali, inaccettabili ed incredibili contraddizioni del Patt. E vengo alla prima paradossale contraddizione. Si dice, da parte del segretario, che del programma del Patt fa parte la solidarietà. Quando ho letto questo sono rimasto addirittura esterrefatto. Capisco la voglia del successo elettorale. Ogni partito o movimento presenta la propria carta d’identità, il proprio programma, cioè dice chi è e cosa vuol fare. Però non si può affermare una cosa giusta a parole e contemporaneamente contraddirla nei fatti.
Certo è ottima la promessa di promuovere la solidarietà. C’è nello Statuto del Patt. Quindi pienamente e totalmente condivisibile da parte mia e da Casa Autonomia.eu. La solidarietà è nel nostro programma e in quello della coalizione di Alleanza democratica-autonomista ben specificata nei particolari con il ripristino della normativa precedente ai tagli fatti da questa maggioranza. Ma come può il nuovo Patt mantenere la promessa della solidarietà con i provvedimenti legislativi e amministrativi fatti da un presidente (con la sua maggioranza) che hanno scelto come loro garante?
Per venire al concreto il presidente della Provincia con la sua maggioranza ha tagliato consistentemente i viveri alle associazioni di volontariato diminuendo notevolmente gli stanziamenti che venivano utilizzati come contributi dalle associazioni a favore del Terzo Mondo per costruire orfanotrofi, ospedali, acquedotti, scuole, fattorie ecc. in sostanza per aiutare il popolo povero a rimanere a casa propria, cioè, come si dice: “aiutiamoli a casa loro”. E il suddetto intervento dell’attuale maggioranza si può chiamare solidarietà?
Questa politica dell’attuale maggioranza non solo ha danneggiato gravemente i beneficiari degli aiuti, ma ha offeso tutti i volontari trentini impegnati nelle associazioni ad aiutare il Terzo Mondo. Ma non è finita.
Questa maggioranza è intervenuta negativamente anche contro gli immigrati sparsi nelle periferie del Trentino sopprimendo l’accoglienza diffusa e concentrando in zona centrale i punti di accoglienza con l’effetto prevedibile di mettere in difficoltà e a disagio tutti: i cittadini e gli immigrati. Anche questo incomprensibile provvedimento è stato uno schiaffo morale al volontariato locale che con spirito veramente umano ed evangelico dedicava gratuitamente tempo ed energie per una giusta e reale integrazione degli immigrati.
In sostanza non solo si è fatto del male agli immigrati, ma si è anche impedito ai nostri di continuare a fare del bene. E questo è il colmo dei colmi. Ora come può il Patt garantire solidarietà contribuendo a far vincere chi la solidarietà la snobba e la calpesta? Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non si può star seduti contemporaneamente su due sedie.
E ora vengo alla seconda assurda contraddizione. E qui, come potrei tacere dopo 40 anni di militanza nel Patt e dopo aver ricoperto vari incarichi di responsabilità (presidente della Commissione dell’unificazione e della stesura dello Statuto, Presidente del Partito, Assessore provinciale e regionale e infine presidente onorario) quando i vertici del Patt fanno certe dichiarazioni? E anche qui vengo al dunque.
Si è detto che il Patt attuale sta realizzando l’unificazione dei partiti autonomisti. Se i vocaboli sul dizionario hanno ancora un significato la parola “unificazione” è il contrario di “divisione”. Ora nel Patt la divisione è grande come un palazzo, non come una casa. Se ne sono andati tre consiglieri provinciali su quattro (Ugo Rossi, Paola Demagri e Dallapiccola Michele), tutti e due i presidenti onorari (Dario Pallaoro e Luigi Panizza); se ne è andato, candidando con Casa Autonomia.eu, Walter Pruner, figlio del capo storico dell’Autonomia Enrico Pruner. Se ne sono andati ancora segretari di sezione, assessori e consiglieri comunali, una quantità di tesserati. E l’emorragia è tutt’ora in corso e non si sa quando si arresterà. E’ iniziato ed è in atto nel Patt un autentico terremoto politico. Altro che unificazione. E tutto è accaduto perché il Patt ha cambiato linea politica in barba allo Statuto e al Congresso, mentre noi di Casa Autonomia.eu, abbiamo voluto essere fedeli e coerenti allo Statuto, a quanto detto al Congresso ed in sintonia (almeno in continuità) con la politica fatta da tre consiglieri provinciali del Patt su 4.
Il nuovo Patt ora può essere considerato ormai una scatola vuota, un’appendice della Lega, visto che il garante del Patt è il leghista presidente della Provincia. Immagino il disagio e la sofferenza politica di chi, ancora nel Patt, non ha accettato e non accetta questo improvviso, incomprensibile e inaccettabile voltafaccia politico. Questo cambiamento però non si riduce ad affari interni di un partito, ma va ad interessare tutta la comunità trentina. Sì, perché, se questa operazione di appoggio del Patt all’attuale maggioranza determinasse la vittoria di questa le conseguenze le pagherebbero tutti i trentini. E in questi giorni si stanno mettendo ben in evidenza gli errori, le lacune e le contraddizioni dell’operato di questa maggioranza (sanità, assistenza, istruzione, carnivori ecc.).
La politica, continuo a dire, non è un hobby, ma incomincia per “P” come pane, cioè decide il pane quotidiano. La politica decide sui servizi e sull’economia con le sue leggi ed atti amministrativi. E’ quella che può far star bene o far star male. Ed è appunto per questo che bisogna andare a votare.
Dopo questo breve inciso concludo, rivolgendomi in particolare agli indecisi del Patt invitandoli ad entrare in Casa Autonomia.eu, che fa parte della coalizione “Alleanza Democratica Autonomista” con Valduga Francesco presidente al quale vogliamo dare la fiducia per il bene del Trentino.
Luigi Panizza, ex Presidente onorario del Patt e attuale membro di Casa Autonomia.eu
La Scuola di Medicina ha storicamente rappresentato all’interno del mondo accademico uno dei fiori all’occhiello, capace di concedere prestigio e dignità scientifica. Nell’epoca del depauperamento numerico della classe medica e delle professioni sanitarie cui stiamo assistendo nel nostro paese, molti hanno pensato che la espansione del numero di iscritti nei corsi di laurea a ciclo unico di Medicina e Chirurgia potesse essere la soluzione al problema della mancanza di professionisti. Il problema è reale ed esiste in maniera diffusa su tutto il territorio nazionale, ma va precisato immediatamente come la carenza non sia di laureati ma di specialisti, perché solo questi ultimi sono abilitati e legittimati a partecipare ai concorsi pubblici per poter lavorare con la massima autonomia e completezza all’interno del Servizio Sanitario Nazionale. Le deroghe attuate negli ultimi anni che hanno permesso agli specializzandi di partecipare ai concorsi pubblici sono un evento eccezionale che ha pregiudicato la completa formazione dei giovani medici e nel contempo ha potenzialmente creato una riduzione della qualità assistenziale qualora gli specializzandi non fossero coadiuvati da un tutor esperto.
La necessità di formare un numero sempre maggiore di medici ha contestualmente portato a un’espansione delle scuole di medicina, di cui Trento rappresenta una delle più giovani. A questo punto vanno fatte le opportune riflessioni sulla genesi della scuola e sulle prospettive, analizzando soprattutto come lo scontro istituzionale fra il governo provinciale e l’elite accademica trentina lasci trasparire una reale confusione di intenti e di potere.
La politica ha voluto la gloria, il corretto riconoscimento di una pietra epocale, di voler passare alla storia perché i “posteri” possano riconoscere i meriti di chi ha governato nel quinquennio 2018-2023 sotto la regia di figure occulte che mai si sono esposte a riguardo. Hanno motivato la fondazione dopo una lunga diatriba (indipendenza o colonialismo accademico veneto) come la necessità di sopperire alla mancanza di personale per l’Azienda Sanitaria, il cui rappresentante politico e legale sbandiera ai quattro venti come la reale soluzione dell’annoso problema, guardando in maniera miopica sempre il proprio orticello e mai con una visione di insieme di un problema che è sovraprovinciale.
Sarebbe stata possibile una intesa con la provincia autonoma di Bolzano utilizzando l’autonomia nel senso specifico del termine e ampliando, come poi Bolzano ha fatto, gli orizzonti verso atenei che avessero un respiro e una importanza internazionale. La decisione di procedere in maniera autonoma e non collaborativa, ancora una volta ha rafforzato il concetto di vuoto esistente nell’amministrazione provinciale che interpreta a proprio piacimento il concetto e gli ideali autonomisti. La diatriba era stata già sollevata qualche mese fa proponendo una joint venture che potesse sfruttare la peculiarità del territorio regionale e rappresentare una testa di ponte verso l’Europa, al fine di poter affrontare la sfida con gli atenei storici del nord Italia. L’ex rettore Collini aveva proposto l’idea dell’Euregio con una scuola integrata Trento-Bolzano con partner Innsbruck e Verona, con corsi anche in lingua tedesca. Le difficoltà comunicative e la sudditanza psicologica della giunta leghista agli atenei lombardo veneti hanno implicitamente obbligato la Giunta Provinciale di Bolzano all’accordo con l’Università Cattolica senza rapporti con l’Università di Trento sita a soli 50 km di distanza. La creazione di una scuola di formazione appetibile con valori sovranazionali ha già fallito. Il rifiuto di Bolzano e dell’Euregio ha creato le basi per una dimensione limitata e priva di prospettive, visto che l’Italia significa Europa sia nel suo concetto politico che geografico.
Un progetto di così grande importanza deve delineare gli obiettivi e declinare nel modo più semplice la adeguata progettazione e pianificazione per il loro raggiungimento: la confusione regna sovrana in una scuola di medicina che risulta avere un “tutor” ufficiale nella Università di Verona, ma che tra risorse, bilanci e delineamento del corpo docente e delle infrastrutture specifiche di sostegno ha una progettualità basata sulla fantasia e sui vincoli contrattuali.Sono ignoti e poco chiari quali siano gli obiettivi prefissati dalla creazione della scuola di medicina di Trento. Se pensiamo alla possibilità di creare forza lavoro per l’azienda sanitaria, la motivazione è già fallita. La modalità di espletamento della selezione nazionale per l’accesso al corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia conduce alla de-regionalizzazione degli studenti. Successivamente i laureati dovranno accedere alle scuole di specialità con una selezione nazionale. Viene immediatamente da chiedersi perché i giovani medici dovrebbero scegliere il Trentino per la loro formazione professionale, essendo questa una neonata università, con scarso blasone, esperienza formativa assente e costo della vita locale enormemente superiore anche alle regioni limitrofe. Senza considerare che pochi giorni fa il rettore parlava di avviare scuole di specializzazione come la Medicina d’Urgenza, che secondo un report di un sindacato della dirigenza medica nell’anno 2022 ha avuto il 55% dei contratti stanziati dal Ministero non assegnati. La lungimiranza è tutto.
Altro aspetto è porsi l’interrogativo per quale motivo romantico e fascinoso gli specialisti dovrebbero poi fermarsi in Trentino, ma questo è un discorso che prolungherebbe l’elenco delle motivazioni fallimentari.
Adesso che il percorso di studi è stato creato non si ravvedono delle reali linee di programmazione e pianificazione. Sono molteplici gli aspetti da chiarire.
Un aspetto fondamentale della qualità di una sede universitaria è dato dalla qualità della didattica e della ricerca che vi si svolgono e quindi dalla qualità dei docenti e dei ricercatori che vi lavorano: il personale reclutato fino a questo momento, se si fa eccezione per pochi casi, ha una età avanzata con programmazione inferiore ai cinque anni, risulta già incardinato nell’ambito della azienda sanitaria oppure viene dalla lottizzazione veronese. Risulta strano come a quasi tutte le selezioni abbiano partecipato singoli candidati, secondo una logica poco apprezzabile sotto un punto di vista qualitativo celando così il sospetto di un “poltronificio”. Nasce spontaneo chiedersi quale appeal possa avere una giovane scuola di medicina che si basi sulla mediocrità del corpo docente selezionato perché facente parte di seconde linee di altri atenei o per una promozione di Direttori ospedalieri imposti dalla politica locale o dall’azienda sanitaria stessa. Allo stato attuale le selezioni svolte hanno dimostrato come la Scuola di Trento sia una succursale di altre università con parziale o assente autonomia di decidere chi assumere. Quale percorso o esperienza accademica hanno avuto i Direttori ultrasessantenni promossi al ruolo di docente universitario? Quale formazione potranno garantire agli studenti?
La visione opaca della politica ha portato anche all’inadeguato stanziamento delle risorse necessarie. La querelle degli ultimi giorni che ha dimostrato un immediato buco di bilancio nell’ateneo trentino, legato alla scuola di medicina, ha palesato le carenze e la visione crepuscolare della Giunta. Giustificarsi dietro lo slogan “le risorse non sono illimitate” non serve a motivare i buchi di bilancio. La realtà è che la scuola di Medicina sta sottraendo risorse agli altri corsi di laurea, agli altri dipartimenti che rappresentano un’eccellenza a livello internazionale, ai dottorati di ricerca e ai programmi di sviluppo previsti. Questo è il risultato della cattiva gestione e pianificazione economico finanziaria che ha fatto prevalere l’autocelebrazione e il populismo elettorale con la possibilità di arrecare danni strutturali importanti all’intero ateneo.
Un ultimo punto da analizzare va assolutamente riservato alla qualità della sanità che la scuola di medicina può portare. L’esigenza di dare risposte pratiche al territorio rischia di entrare in conflitto con le esigenze di ricerca e di creare ospedali e reparti di serie A e serie B, innescando una conflittualità che già è presente e si cela nelle file dei medici dipendenti di APSS. Il rischio di essere declassati ad attività usuranti, ripetitive e poco qualificanti (gli universitari hanno dei carichi di lavoro assistenziali ridotti) e soprattutto la privazione di una eventuale progressione di carriera da parte dei medici ospedalieri (i professori universitari assumono quasi tutti il ruolo di Direttore di struttura complessa) saranno elementi di una possibile lotta interna tra diverse fazioni che porterà inevitabilmente a un peggioramento della offerta sanitaria.
Sarà compito della giunta provinciale la modulazione attraverso la catena di comando di APSS e del rettorato di assumersi le dovute responsabilità per correggere gli errori fatti e per poter sostenere la logica della qualità e del miglioramento. Diversamente saremo condannati alla mediocrità e alla creazione di un vero e proprio fossato tra l’accademia e la popolazione trentina.
La tutela della salute è il progetto più ampio ed importante per ogni cittadino. Le leggi, i modelli di cura, le istituzioni, gli strumenti e i professionisti sanitari sono gli elementi fondamentali per portare avanti questo Progetto. Io da Operatore Socio Sanitario ogni giorno contribuisco al raggiungimento dell’obiettivo: garantire benessere alla persona assistita nel rispetto della sua autonomia e del suo ambiente di vita. Competenza, empatia, sensibilità, pazienza, capacità di lavorare in equipe sono qualità fondamentali per ogni operatore sanitario sia esso che lavori in RSA, in ospedale, a domicilio o altri Enti. Al centro di ogni azione va messa la persona, il nucleo in cui vive e la Comunità di cui fa parte. Solo così la salute di ognuno è la salute di tutti e per tutti! Il Trentino attraverso l’Autonomia può garantire tutto ciò.
Il tema specifico sul futuro dell’Autonomia parte ovviamente dalla consapevolezza di cosa sia oggi l’Autonomia e da quale Autonomia possiamo oggi partire per costruire quella del futuro. Oggi la reputazione della nostra Autonomia è fortemente in crisi. Il tema della reputazione è centrale perchè senza reputazione si manca di credibilità.
L’Autonomia odierna è malata, e lo è da un po’ di tempo, da quando, cioè, tutto diventa Autonomia, tutti usano ed abusano del termine Autonomia, come se tutto possa rientrare all’interno di questa. Tutto è Autonomia, quindi niente è Autonomia.
Diciamo subito, allora, per fugare ogni dubbio, che cosa non può essere Autonomia.
Autonomia non è razzismo, Autonomia non è sovranismo, Autonomia non è antieuropeismo, Autonomia non è chiusura, Autonomia non è egoismo.
Autonomia è termine col quale si è inteso oggi far passare il concetto che il fare tutto giustifichi tutto. Come se il fare senza un perimetro valoriale all’interno del quale stabilire priorità, direttrici ed obiettivi non fosse rilevante. Investire in favore di un mega concerto a scapito di un progetto che alleggerisca le liste di attesa sanitarie significa fare, ma non per questo significa fare bene. Significa che la politica, una certa politica, individua nel caso di specie una priorità a scapito di un’ altra, il concerto ad un bene sanitario. Significa che, caso di specie a parte, le scelte politiche comportano effetti diversi e che quindi la politica è importante.
Oggi l’ideologia rifiutata, la “foboideologia”, la paura della ideologia e il fiaccamento del valore, passa in qualche territorio della politica attraverso il pragmatismo del fare. Fare comunque, fare con tutti quelli che vincono, fare a fari spenti, fare senza una luce, fare rilassando il cuore, fare senza una visione di futuro, fare nella lettura bulimica di un manuale Cencelli preferito a quello dell’ autogoverno, dell’ interesse generale.
Si misero nero su bianco, era la metà degli anni ‘40, quelli della Carta di Chivasso e dell’Asar, dichiarazioni ancora oggi di una modernità assoluta, che sancirono le basi dell’ autonomismo moderno attraverso quei valori di principio ed ideali che tanta orticaria producono oggi nelle foibe di coscienze politiche arroccate all’interno del moderno “cencellismo”; quel “cencellismo” che confonde i programmi con la prospettiva politica, l’amministrazione con il governo, la mediazione con la svendita, l’Istituzione con la carica personale. Il nemico giurato di tanta generosità di contraddizioni è la negazione di una parola elegante, discriminante, chiarificante e nobilitante che corrisponde al nome di valore. Valore ideale, valore identitario, valore quale cornice innegoziabile.
Smarcarsi da scelte che abbiano carattere ideologico e valoriale è dunque il passepartout per giustificare tutte le scelte. L’Autonomia è invece una forma alta di identità delle nostre comunità. La sua forza sta nell’energia di una identità di popolo che non si chiude ma concorre al bene comune senza campanilismi. La forza di queste identità non ha prezzo, e gli interventi pubblici loro destinati lo sono in virtù di scelte politiche necessarie alla comunità e non utili al politico che ne richiede ritorno elettorale.
Insisto molto sul concetto di Autonomia, anche con riferimenti concreti, perchè se noi accettiamo senza colpo ferire che la nostra Autonomia possa indifferentemente fare accordi, con tutto e con tutti, tentare alleanze, senza distinzioni ed all’interno di mediazioni prive di contrappesi e sui grandi temi della sanità, dell’istruzione, dell’ ambiente, della transizione ecologica, della grande scommessa sulle nostre risorse umane non solo giovanili ma anche anziane, non solo produttive ma anche in difficoltà, siamo sulla strada sbagliata. Non dobbiamo temere di affermare, accanto al grande rispetto per l’avversario, anche le ragioni di un’ Autonomia dalle grandi ambizioni e che sappia in maniera forte ma soprattutto autorevole rivolgersi con massima priorità a chi si trova in svantaggio. E sono molti coloro che calcano questa a volte nuova condizione di disagio. Non si confonda lo stato di apparente ricchezza generale con un benessere che non c’è almeno nelle forme che la nostra terra ha nelle sue potenzialità. Lo stato di benessere è altra cosa rispetto allo stato economico. Il benessere è uno stato complessivo, un equilibrio di parametri che passa dai servizi, alle condizioni ambientali, dal rapporto tra lavoro e tempo da dedicare alla propria sfera, insomma si sta meglio quando si vive meglio: le condizioni economiche sono un fattore basilare ma non esclusivo. Su questo noi Autonomisti dobbiamo avere il coraggio di riappropriarci di un’ Autonomia che è quella del benessere della persona, dell’individuo. Noi Autonomisti è a queste persone che prima di tutto dobbiamo rivolgerci. A queste persone che da una globalizzazione che non fa prigionieri rischiano l’isolamento, rischiano di non farcela. Questo Autonomismo porta al centro la persona, l’individuo, la comunità familiare. E questa politica autonomista deve pretendere la massima attenzione a tutto quello che orbita attorno al benessere della persona, prima di ogni altra priorità.
L’ Autonomia che ci attende non è il modello emerso in questi ultimi anni, quello binario, dello scontro tra chi comanda e chi deve obbedire. Tra chi è con loro e chi contro di loro. Il governo è di tutti e non di chi questo ha votato. Non abbiamo bisogno di circolari che impongano di domandare il permesso di parlare a dirigenti e funzionari, umiliandoli al ruolo di pupazzi. E’ appena successo. Non può e non dovrà più succedere. Perchè la nostra Autonomia è fatta di rispetto della dignità e del lavoro del singolo, delle minoranze, delle differenze, delle specialità. Non ha bisogno di cani da guardia ma di confronto rispettoso. L’ Autonomia è autogoverno in favore di tutti e non di chi è più o meno confidente col potere. Le comunità destinatarie di attenzioni politiche non possono subire ricatti elettorali, perchè questo metro risponde a logiche di scambio, che la nostra Autonomia non può tollerare e che si pensava albergare ad altre latitudini.
Altro elemento che riverbererà sempre più sul futuro della nostra Autonomia è l’idea tutta centralista secondo cui è sufficiente per le regioni già in possesso di un regime autonomistico, difendere dette prerogative in una sorta di sterile blindatura delle posizioni acquisite. L’ Autonomia muore nel momento in cui rifiuta di proporre e di proporsi attraverso innovazioni e rilancio di iniziativa.
Esistono tutte le condizioni perchè il Trentino diventi una sorta di Silicon Valley dell’ Autonomia. Per fare questo l’impegno va rivolto in forma massiva verso quelle risorse immateriali che sono i cervelli dei nostri giovani, eccellenze che spesso si formano nelle nostre università per poi trovare fuori dai nostri confini ristori non solo economici ma anche motivazionali, che privano la nostra terra di quell’ ossigeno creativo senza il quale si è destinati all’aridità culturale, economica e sociale. Molte, troppe nostre aziende sono oggi ad una svolta perchè non intravvedono possibilità di un sogno, di un risveglio creativo in quanto schiacciate da una gestione politica priva di un disegno. E sapete quale è la forza di ogni rivoluzione? E’ la forza di un desiderio, la possibilità di poter sperare di realizzare quel desiderio. Senza questo desiderio la Comunità si spegne, si omologa, si addormenta.
L’ Autonomia di domani che tutti dovremo costruire, ha il compito di lanciare questo desiderio di riscossa.
Si tratta di dare corpo ad interventi che come dicevo rientrino però in un alveo di priorità per un Trentino coraggioso, capace di mettere al centro un interesse sociale diffuso, in grado di rallentare o meglio, evitare del tutto, spinte egoistiche e rivolte a pochi.
Il nodo centrale della burocrazia locale che deve essere migliore di quella nazionale, e capace di performare per qualità e tempistica, lo ricordava Degasperi, saprà essere in grado di qualificare i singoli piccoli interventi su cui il Trentino continua a non riuscire a cambiare marcia.
Non esistono modelli di società mutuabili in toto. Anche territori a noi storicamente vicini e che, diciamolo pure, a buona ragione invidiamo, sono innervati di specialità e peculiarità che mai potranno essere adottate completamente. Se ne può mutuarne valori, ma non scimmiottarne i contenuti. Si pensi ad esempio all’ istituto tipico del Maso chiuso che al di là delle connotazioni etiche, ha evitato all’Alto Adige una frammentazione del territorio che da noi rappresenta invece un grave problema. Si pensi anche alla questione etnica che tanto rileva nel panorama dell’ Autonomia sudtirolese. La nostra Autonomia dovrà sempre più essere capace in una dimensione regionale ed euro regionale di confrontarsi, ma ponendosi obiettivi ben altri rispetto a quelli di un vassallaggio politico antistorico. Un’ Autonomia del confronto all’ interno di confini di seta, come diceva il compianto Silvius Magnago.
Il blockfrei è privo di contesto politico in chiave provinciale perchè l’elemento portante, quello di un robusto catalizzatore politico al centro non esiste. Ed utilizzare il blockfrei quale sinonimo di mani libere, in un quadro di utilitaristico mezzo per approdi rivolti ad interessi ed ambizioni personali e non collettive, nulla ci azzecca con l’Autonomia del buon governo.
Le dimensioni della nostra Terra, i suoi numeri, ma soprattutto l’idea che Roma ha di noi, impongono la capacità di radicare in Trentino una massa d’urto importante, capace di contrapporsi a quella che sicuramente sarà una controffensiva centralista nei confronti di realtà che Roma valuta privilegiate. Qualcuno con queste forze ci è andata al pranzo di gala con i pantaloncini corti e i sandali, noi se siamo qui oggi è per affermare che siamo Movimento giovane ma non sprovveduto. Che siamo autonomisti e non nazionalisti. Abbiamo una identità locale che non è quella roba la, non è una identità nazionale, che rispettiamo, ma non è la nostra. La massa critica, la massa d’urto di cui parlo richiede uno sforzo che superi l’ idea di monopolio partitico autonomista. E’ stato, questo del monopolio, un atto di superbia politica che dobbiamo riconoscerlo, ha contribuito in molti casi ad alimentare una polveriera politica senza senso e sterile di profitto politico. Dobbiamo in questo senso contribuire a ricostruire questo spirito di collaborazione per un movimento autonomista che deve sempre più puntare ad un sentimento autonomista popolare e diffuso. Con alcune forze sarà possibile capirsi subito, con altre sarà più complesso, con altre in assenza di ragione sociale non si potrà neanche iniziare. Il problema è sapere fin da subito con chi ed in quale direzione andare, evitando di confondere sigle per contenuti e riconoscendo in tempo le mutazioni genetiche in corso.
L’ Autonomia acquisirà tanta più forza, tanto più valore quanto sarà in grado di costruire un sistema orizzontale di forze che nelle loro specialità abbiano sul tema autonomistico voglia capacità ed autorevolezza per concordare programmi di lungo corso sui quali ragionare ed operare. Non lo possiamo chiedere a quelle forze nazionaliste che fanno del decentramento e dell’autogoverno un problema, ma con quelle invece che pensano che il decentramento e l’auto governo costituiscano delle risorse: è già una minima base di partenza. Rinforzare al massimo i Movimenti come Casa Autonomia che si fanno motore portante di questo ambizioso ed indispensabile progetto autonomista euro regionale, significa investire sul sicuro, fuori da posizioni di rendita traballanti che rifiutano di guardare oltre il giardino di casa. Sarà sempre più impegnativa la sfida tra un equilibrio virtuoso in capo alle identità locali e le spinte di una Comunità internazionale ed europea alle prese con temi globali che per forza di cose impatteranno, lo stanno già facendo, anche su di noi. E’ su questo che l’ Autonomismo è chiamato a prepararsi, forte di un radicamento storico importante che non può trasformarsi in radicalismo. Sarebbe la sua morte. E’ un modello maturo di autonomismo quello di dopodomani, quello che attende la nostra comunità, che non può permettersi derive estreme o miopi, ma capaci di surfare, di veleggiare sulle onde di un mare aperto carico di incognite.
Partiamo non dall’anno zero, ma purtroppo da cinque ultimi anni che hanno segnato in diversi campi, da quello sanitario a quello scolastico, dal turismo all’ ambiente in particolare il passo ad un pressapochismo allarmante ed anche, lo abbiamo percepito un po’ tutti, ad un limaccioso clima di prepotenza che non appartiene alla nostra storia e non potrà appartenere al nostro futuro. Però abbiamo ancora una società stanca dove la coesione sociale è stata messa alla prova ma ancora trova risorse in un solidarismo diffuso, in un volontariato importante, in un sistema cooperativo sinistrato ma recuperabile. L’ Autonomismo che verrà deve già partire oggi non tollerando sconti all’ arroganza istituzionale ed alla compressione dei diritti del cittadino, che non può essere suddito, ma tornare a sentirsi parte attiva ed integrata di un processo di sviluppo con al centro la persona, poi le grandi opere Noi siamo qui anche per questo, autonomi nel pensiero, liberi nell’esprimerlo.
Arrivati alla fine di questa legislatura viene naturale interrogarsi sull’operato della Giunta uscente. Ebbene, sembrerebbe che 5 anni di governo si siano alla fine consumati in 5 mesi di passerelle e tagli di nastro. Sì, perché nei restanti 55 mesi non si è visto nulla se non l’inaugurazione di progetti messi in atto dal governo precedente (il Punto Nascita e Blocco di Cavalese, la sala operatoria del Punto Nascita di Cles, la ristrutturazione dell’ospedale di Borgo).Gli altri progetti avviati in questo quinquennio, invece, sono partiti per grazia ricevuta dallo Stato, che con i DM 70 e 77 ha imposto nuove funzioni e nuove strutture territoriali: il pronto soccorso di Arco e i due locali del pronto soccorso di Cles (peraltro finiti e mai aperti), l’incremento di posti in rianimazione e in semintensiva. Tutto fatto su input statali con relativi finanziamenti. Così come le Case della Comunità, gli Ospedali di comunità e le Centrali operative territoriali finanziate dallo Stato. Ben vengano questi finanziamenti ma funzioni e risorse non sono mai state stabilite e definite e con questa Giunta si corre il rischio che rimangano scatole vuote.Insomma, in una Provincia come il Trentino, con lo strumento dell’Autonomia a disposizione, l’attuale Giunta non ha saputo fare altro che chiudere (se andava bene) progetti iniziati da altri e seguire gli ordini arrivati da Roma, senza nessuna idea o iniziativa vera per migliorare il nostro territorio. Di vera Autonomia se ne è vista ben poca…Per tornare all’attività che meglio interpretano gli Assessori, il taglio del nastro ha la stessa funzione della proverbiale mela: una al giorno toglie il medico di torno. Eh sì, perché a stare fuori dai palazzi a tagliar nastri il Governo trentino non si sta occupando del NOT, del problema risorse, dei medici, degli infermieri e di altro personale sanitario che scappa dall’Azienda! Mai visto tanto fuggi fuggi e tanta demotivazione. Povera sanità trentina, un tempo fiore all’occhiello ora nell’occhio del ciclone. Il nostro sistema sanitario non è più un sistema complesso descritto in tutti i libri di organizzazione sanitaria, ma una struttura complicata che cerca di sopravvivere grazie al forte senso di responsabilità dei professionisti.La responsabilità di tutto ciò è da ricercare in un Assessorato che ha comandato con il solo scopo di destrutturare un sistema che rispondeva bene ai bisogni esterni ed interni. Cari Assessori, mettetevi una mano sulla coscienza, fate un mea culpa ed evitate di fare altri danni: il Trentino non potrebbe reggere altri cinque anni! Il sistema sanitario ha bisogno di trovare competenza, responsabilità politica e decisionale, concretezza, analisi del bisogno e proposte forti e coerenti con i bisogni. Ospedali per acuti, servizi territoriali per malati cronici, disabili e anziani, c’è bisogno di investire nella prevenzione e nelle cure (stili di vita, nelle scuole, sul lavoro, in carcere, nelle comunità per le dipendenze).La politica deve porsi come fine il bene della comunità, e il bene delle comunità passa per la difesa e la cura della salute, che è un diritto fondamentale di tutta la popolazione e in quanto tale va difeso. I politici hanno il dovere di fare scelte che assicurino lo stato di benessere a tutti e non è di certo andando verso il privato che ciò potrà essere ottenuto.
Un oggetto sbalzato da una parte all’altra, passato da un centro all’altro in un percorso che non sembra avere fine. Sembra la descrizione del viaggio di un pacco postale perso, eppure questa descrizione si può applicare sempre più spesso al percorso dei pazienti all’interno del sistema sanitario. Una situazione disdicevole, che trova le proprie cause nella sanità sospesa, nell’impossibilità di trovare appuntamenti per visite ed esami. Ormai trovare un posto a breve non è nientemeno che un miracolo. Se poi il percorso è fatto da più esami e visite, il rischio pacco diventa quasi una certezza
Un tempo, ai pazienti cronici o comunque in carico ad APSS, veniva fornita la prenotazione per ogni esame. Oggi si fa slalom da un ospedale all’altro, finché, chi se lo può permettere, decide di passare al privato. Poi il giro ti porta persino fuori Regione ed è il momento in cui il trentino, che apprezza il clima organizzativo, la velocità e la risposta, li si ferma e la mobilità attiva schizza in aria. Provare per credere a prenotare al CUP.
La domanda nasce però spontanea: chiamo il CUP, mi danno la vista oculistica nel 2024 e quindi ci si deve porre il tema dell’appropriatezza. Se l’appuntamento è tra un anno, la richiesta fatta dal Medico è inappropriata o inutile? Chi valuta oggi l’appropriatezza? Non possiamo di certo passare la responsabilità a chi lavora al CUP. Ma qualcuno quella responsabilità di fornire una visita tra un anno deve pur prendersela! O non è appropriata e quindi si annulla la visita e se è diversamente appropriata la si deve garantire entro i tempi indicati nei LEA!
Basta annunci che non ci saranno più viste in sospeso, basta annunci che il privato colmerà il vuoto del pubblico, basta prese in giro dei trentini con conferenze stampa i cui contenuti sono quelle di chiacchieroni la cui affidabilità è molto discutibile. Ci vuole una vera riorganizzazione, un vero cambio di passo per il bene dei trentini.
Famiglia e lavoro. Due ambiti difficili da conciliare, in particolare per la popolazione femminile. Trovare il tempo per dedicarsi sia alle proprie relazioni familiari che alla propria carriera a volte sembra quasi impossibile. Eppure è un obiettivo chiave da raggiungere, per le lavoratrici e i lavoratori, ma anche per la politica. Come possiamo pensare ad una società funzionante, equa e felice se i cittadini non sono soddisfatti né della propria vita familiare, né del proprio percorso lavorativo?Per questo motivo, sebbene si possa ancora migliorare, in ambito pubblico sono attive una serie di misure che cercano di aiutare i dipendenti in questo senso. Contrariamente a quanto si pensa, però, ci sono anche aziende private che hanno adottato modelli virtuosi, migliorando la propria attrattività e permettendo a lavoratrici e lavoratori di dedicarsi sia alla famiglia che al lavoro.Ne è un esempio un’importante cooperativa ortofrutticola della Val di Non. Un’azienda che si è trovata ad affrontare il problema anche vista la preponderante maggioranza femminile all’interno della propria forza lavoro. Tra le misure adottate da questa realtà spiccano l’implementazione di un orario continuato e la fidelizzazione della forza lavoro attraverso l’utilizzo di uno storico delle operaie.L’orario continuato, che in altri ambiti non viene implementato, permette ai dipendenti di organizzare meglio la propria vita lavorativa e personale, dedicando così ad ognuna di esse il tempo e l’attenzione necessari. Lo storico, a cui si accede dopo 4 anni di servizio, è un gruppo di operaie selezionate che vengono chiamate per prime a inizio stagione. Così facendo si garantisce una certa continuità lavorativa, assicurandosi allo stesso tempo un numero minimo di lavoratrici per la stagione successiva. Una misura che, a mio avviso, sarebbe da implementare in tutti gli ambiti stagionali.Queste politiche aziendali vanno riconosciute ed applaudite perché rappresentano già un grande passo avanti, ma si può fare ancora di più. Per esempio, gli asili nido aziendali aiuterebbero molto i dipendenti e allo stesso tempo aumenterebbero l’attrattività dell’impresa, vista la scarsità di posti negli asili pubblici. Inoltre, non bisogna mai sottovalutare l’importanza dell’aggiornamento delle tabelle salariali, soprattutto di questi tempi instabili e ancora di più in ambienti dove non c’è possibilità di avanzamento di carriera.Ovviamente i privati possono arrivare fino a un certo punto. E proprio qui dovrebbe intervenire la Provincia, che ha tutto l’interesse ad offrire aiuti per tenersi stretta i lavoratori migliori. Implementare politiche oculate che aiutino a fidelizzare i dipendenti o, più in generale, a dare garanzia di vita, di conciliazione e di stabilità retributiva, significa interpretare al meglio i principi della territorialità, cooperazione e stabilità, che, almeno fino a 5 anni fa, hanno sempre caratterizzato il nostro Trentino.Questo è uno dei principali obiettivi di Casa Autonomia. Partendo dai nostri valori, garantiti da una lista di candidati di ala sociale con un occhio di riguardo verso il benessere dei cittadini, vogliamo riportare il Trentino sulla buona strada. Non gettando denaro a pioggia senza obiettivi precisi, ma individuando i servizi e le politiche in cui investire, in modo da avere il miglior ritorno possibile sulla popolazione.
Paola DemagriVenerdì 25 agosto la sala comunale di Pellizzano era troppo piccola per contenere tutti i partecipanti all’incontro di presentazione del candidato solandro di Casa Autonomia Gianluca Zambelli alla presenza di Francesco Valduga, candidato presidente della coalizione Alleanza Democratica e Autonomista, e dei consiglieri Paola Demagri e Michele Dallapiccola. Molte le persone hanno seguito l’incontro in piedi e sulle scale.
Gianluca Zambelli sposato, due figlie, artigiano di Pellizzano, impegnato nel volontario e presidente della locale Asuc ha posto l’attenzione sulla necessità di garantire la massima attenzione della politica ai bisogni primari delle persone, in particolare per chi vive in territori come la Val di Sole e ha confermato il proprio impegno in questo senso a favore dei piccoli centri, dei servizi da assicurare, dell’agricoltura di montagna collegata al turismo e delle piccole imprese che costituiscono il tessuto economico della valle.Francesco Valduga (medico oncologo di professione) ha raccolto e rilanciato il messaggio di Zambelli illustrando le linee principali del suo programma in particolare su temi prioritari come quelli della sanità, della scuola, del lavoro e della famiglia. Temi sui quali, ha detto, bisogna recuperare il tempo perduto in questi ultimi 5 anni dove c’è stato un notevole arretramento del Trentino. “Vanno bene le opere pubbliche ma serve una svolta radicale – ha aggiunto -. Un recupero e un cambiamento che devono partire dalla consapevolezza delle potenzialità della nostra Autonomia speciale che deve essere maggiormente utilizzata invece di invocare sempre il governo nazionale”.Dallapiccola e Demagri hanno presentato il movimento CasaAutonomia nato per continuare con coerenza il percorso politico autonomista, per definizione alternativo al populismo allo statalismo e al nazionalismo dei partiti di destra. Un movimento che risponde solo al territorio, che parte dalle persone e che ha già ultimato la formazione della lista per le elezioni provinciali.Alla serata erano presenti Ugo Rossi e Luigi Panizza che hanno confermato il loro convinto sostegno a Gianluca Zambelli, CasaAutonomia e a Francesco Valduga.