Fuga di cervelli, contiamo sui giovani per costruire il futuro, ma loro possono contare su di noi?

Da Paola Demagri

Qualsiasi progetto politico che guardi al futuro deve per forza guardare anche ai giovani. Sono infatti loro che domani si faranno carico di ciò che facciamo oggi e per tanto ogni programmazione di lungo periodo deve avere per loro un occhio di riguardo. Per questo Casa Autonomia.eu cerca di coinvolgere il più possibile i giovani nelle proprie attività, rendendoli coprotagonisti della politica.

In molti sono attivi all’interno del Movimento e partecipano alle nostre serate, portando il proprio pensiero e dando un prezioso contributo a ciò che Casa Autonomia cerca di costruire. Esempi di ciò sono la serata tenuta a Borgo Valsugana, in cui Alessio Anselmo, giovane laureato in Economia, ha discusso con noi alcune idee sulla fiscalità in Trentino, oppure la serata in programma per il 13 marzo a Castel Tesino, nata su idea di Alessandro Borgonovo , che verterà su quali servizi vadano implementati per rendere le valli attrattive per la popolazione più giovane ed evitarne così lo spopolamento.

Purtroppo per quanto riguarda i giovani come Provincia siamo ancora indietro, si può fare di meglio. Infatti anche in Trentino si assiste al fenomeno della cosiddetta “fuga di cervelli”. Molti ragazzi e ragazze altamente qualificati decidono di intraprendere la propria carriera lavorativa all’estero, dove trovano condizioni di vita, professionale e personale, migliori. Proprio a proposito di questo argomento un gruppo di ragazzi mandò, nel 2019, una lettera in risposta alle dichiarazioni dell’Università e della Pat durante la cerimonia di laurea di quell’anno. In quell’occasione infatti si esortarono i giovani a completare la propria istruzione e poi tornare in Trentino. “Contiamo su di voi per far crescere il Trentino”, si disse.

A queste parole, che si possono ancora trovare su un articolo del quotidiano Il Trentino del 27 ottobre 2019, i giovani risposero con una lettera inviata ai quotidiani, ma mai pubblicata. “Sulla carta abbiamo tutto. Eppure ce ne andiamo e sempre più numerosi. Quasi quanto i nostri antenati che se ne andavano per fame – scrivono i ragazzi -. Forse, quindi, si parte ancora per fame, ma una fame diversa da quelle delle generazioni passate. Un desiderio insaziabile di contemporaneità, nuove opportunità, apertura mentale, continua crescita personale e professionale, fame di futuro”.

Lo scritto prosegue delineando a chiari tratti la situazione di coloro che partono e, pur soffrendo la nostalgia di casa e sognando di poter tornare, alla fine non lo fanno. “Per molti di noi sarebbe un sogno lavorare nel proprio Paese e ritornare a casa – spiegano -. Poter vedere ogni giorno la propria famiglia, abbracciare i propri genitori senza uno smartphone che faccia da barriera, godere della natura mozzafiato che la nostra terra ci ha donato. Ma a quali condizioni? Il Trentino sembra essersi cristallizzato in una dimensione stagnante, soprattutto nel mondo del lavoro”.

Mancherebbero meritocrazia, attenzione per il lavoratore (sia a livello retributivo che di crescita) e per l’equilibrio tra vita professionale e personale. Le politiche per le famiglie non sarebbero sufficienti, per non parlare degli investimenti concreti in strutture di sostegno alla maternità e del congedo per paternità. Tutte condizioni che invece all’estero si trovano e permettono di vivere una vita migliore. “Siete pronti ad offrire qualcosa di simile? – chiedono – Perché, se rientriamo, tutto questo e molto altro ancora lo lasceremo alle spalle. Solo dialogando e ascoltando veramente ciò che abbiamo da dire si potrà costruire qualcosa di nuovo e sperare di recuperare voi delle risorse, noi le nostre origini. Noi siamo già cambiati, e voi?”

Di seguito il testo integrale della lettera:

“Contiamo su di voi per far crescere il Trentino.”

Sono parole che suonano amare, soprattutto quando per crescere come persona e professionista dal Trentino te ne sei dovuto andare. Chi parte dalla nostra regione, indipendentemente dall’età, non lo fa più per fame, come accadeva solo pochi decenni fa. Veniamo da una regione privilegiata, rispetto ad altre in Italia, con servizi di buon livello e una maggiore indipendenza nella gestione delle risorse. Abbiamo un’identità locale molto marcata e una connessione profonda con il territorio che è e resta il nostro punto di forza. Siamo circondati da elementi naturali straordinari nel panorama europeo e possediamo un patrimonio storico e culturale unico, proprio grazie al fatto di essere una regione di confine. Sulla carta abbiamo tutto. Eppure ce ne andiamo e sempre più numerosi. Quasi quanto i nostri antenati che se ne andavano per fame.

Forse, quindi, si parte ancora per fame, ma una fame diversa da quelle delle generazioni passate. Un desiderio insaziabile di contemporaneità, nuove opportunità, apertura mentale, continua crescita personale e professionale, fame di futuro. Partire, vivere altrove, immergersi in un altro Paese è un’esperienza bellissima, unica e formativa, nonostante i momenti di sconforto, perdita, nostalgia, difficoltà che chiunque parta per l’estero è costretto ad affrontare, per lo più individualmente. Stare lontano da casa aiuta a conoscersi e a conoscere nuove realtà, nuove culture, vivendo e relazionandosi con le differenze in modo costruttivo, soprattutto in un contesto dove il diverso sei tu.

Ognuno può partire e poi restare per diversi motivi: chi per amore di una persona o del Paese di accoglienza; chi perché ha trovato condizioni lavorative non comparabili con quelle del luogo di origine; chi preferisce pagare le tasse in un Paese che garantisce un’elevata qualità dei servizi e diritti civili ancora non attuati appieno in Italia. Chi per altri motivi ancora.

Spesso partire è una necessità in assenza di prospettive migliori sul territorio, che si trasforma in una possibilità reale di lavoro e di vita. Se non torniamo, non è per mancanza di riconoscenza verso il nostro territorio, non è per un freddo calcolo costi/benefici. Quasi sempre è un compromesso, ma è pur sempre una scelta personale e legittima.

Ci chiedete di tornare, noi cervelli in fuga per alcuni, traditori per altri. Per molti di noi sarebbe un sogno lavorare nel proprio Paese e ritornare a casa, la tua vera casa. Poter vedere ogni giorno la propria famiglia, abbracciare i propri genitori senza uno smartphone che faccia da barriera, godere della natura mozzafiato che la nostra terra ci ha donato. Ma a quali condizioni? Il Trentino sembra essersi cristallizzato in una dimensione stagnante, soprattutto nel mondo del lavoro.

Spesso ci chiediamo come sarebbe se tornassimo a vivere e lavorare in Trentino, o anche in Italia. Non pretendiamo tappeti rossi o applausi in aeroporto, parliamo di concretezza. Che piani reali avete per noi giovani e per affrontare la disoccupazione giovanile che ci sta facendo affogare? Abbiamo tante domande, e abbiamo anche tutto il diritto di avere risposte. Risposte sincere questa volta, e non slogan. Siamo stufi di questo.

Se tornassimo, riusciremo a trovare un lavoro in linea con le nostre competenze? Non uno qualsiasi. Un lavoro di quelli buoni, come abbiamo magari trovato con fatica all’estero, in cui la meritocrazia fortunatamente esiste. Un lavoro che permetta flessibilità di orari per conciliare la vita lavorativa con la vita privata. Un lavoro che garantisca continua crescita e nuovi stimoli. Un lavoro in cui ci sia uguaglianza di genere e pari opportunità. Un lavoro con una giusta retribuzione, e non sottopagato, o addirittura non pagato come molti tirocini. Non c’è dignità senza lavoro e non c’è lavoro senza retribuzione.

La mancanza di novità ci porta ad andarcene. Com’è possibile che in Trentino (e in Italia in generale) manchino lavori che siano in grado di valorizzare l’interdisciplinarietà di competenze, premiare il talento e soprattutto guardare al futuro?

Se tornassimo, quali politiche per le famiglie troveremo? Chi è madre, avrà la possibilità di conciliare carriera e cura della famiglia nei primi anni di vita di un bambino? Mancano investimenti concreti in strutture di sostegno alla maternità, permane una forte e radicata discriminazione nei confronti delle donne con figli nel mondo lavorativo e conciliare il lavoro con gli impegni familiari è spesso un’impresa ardua. I nidi comunali sono troppo pochi e hanno orari incompatibili con quelli di una donna che lavora a tempo pieno. Per non parlare degli asili privati, con tariffe spropositate.

Ma soprattutto, quando si comincerà veramente a parlare di congedo paternità? Nei Paesi nordici è la normalità vedere padri che si occupano dei i propri figli mentre la madre lavora. Da noi, invece, ci si meraviglia quando si vede un padre che spinge la carrozzina al parco in piena giornata lavorativa.

Perché? Nei Paesi Bassi esiste il papadag, letteralmente il giorno del papà, ovvero un giorno alla settimana garantito e retribuito ad ogni padre per prendersi cura dei propri figli. Siete pronti ad offrire qualcosa di simile? Perché, se rientriamo, tutto questo e molto altro ancora lo lasceremo alle spalle. Ne vale davvero la pena?

Avete un’idea di quanti di noi siano partiti senza tornare? Negli ultimi dieci anni, più di 8.500 giovani della nostra Regione sono emigrati all’estero, con una perdita di più di mezzo miliardo di prodotto interno lordo potenziale, cioè di ricchezza che avremmo potuto produrre e condividere se fossimo rimasti. Tuttavia, si parla di noi sempre e solo riferendosi a numeri. Perché non ci avete mai chiesto i motivi che ci spingono a lasciare una terra meravigliosa come il Trentino? E per quale motivo dovremmo tornare nel luogo che ci ha fatto andare via?

Idee ne abbiamo da riportare nel territorio. I ponti però si costruiscono in due. Siete disposti ad ascoltarci e a lavorare insieme a noi per far nascere azioni concrete?

Solo dialogando e ascoltando veramente ciò che abbiamo da dire si potrà costruire qualcosa di nuovo e sperare di recuperare voi delle risorse, noi le nostre origini.

Noi siamo già cambiati, e voi?

Marco Camplani, Elena Corradi, Claudia Neri e Ludovica Serafini del gruppo Trentini in Francia e Benelux