Le ragioni della denatalità.

Da Paola Demagri

SOS il paese invecchia, una montagna da spostare.

Nicoletta Postal

Paola Demagri

Il problema del calo delle nascite emerge oramai su qualsiasi pagina di giornale, in qualsiasi trasmissione televisiva, in qualsiasi confronto politico o tavolo di amici. Emerge con preoccupazione, con perplessità e anche con sofferenza più o meno celata.

C’è la preoccupazione “sociale”, data dal pensiero opportunista “chi pagherà le nostre pensioni?”, dal pensiero nazionalista “gli italiani stanno scomparendo e verranno sostituiti da altre etnie!”, dal pensiero economico “meno figli meno PIL”, e infine, ma non per importanza, dal pensiero sanitario “chi si prenderà cura di noi, quando saremo vecchi?”.

C’è la preoccupazione “di coppia”, data dal pensiero di non riuscire ad avere figli, che alla lunga porta situazioni di disagio emotivo, che possono compromettere la sessualità e, di conseguenza, la fertilità.

Accanto alla preoccupazione si fa strada il coraggio, che si manifesta con il comprendere e/o accettare la propria infertilità, con la fiducia estrema nella scienza, e, quindi, con il ricorso alle tecniche di procreazione medica assistita, con più o meno ostinazione, con successo o infinita illusione/delusione, e talvolta con profonda sofferenza.

In precedenza, abbiamo già analizzato il problema dell’infertilità, osservando tutte le sue dimensioni: sociale, sanitaria, psicologica. Adesso proviamo ad affrontare il problema del calo delle nascite sotto altri punti di osservazione, legati più all’organizzazione sociale, economica ed educativa.

Ecco, che ci troviamo davanti al problema più importante del nuovo secolo, con la generazione Alpha che cerca con apprensione un continuum.

In Thailandia si parla di “triangolo che sposta le montagne”, quando si decide come affrontare un problema. I vertici del triangolo sono: la conoscenza, il governo, e le persone. Far lavorare i tre soggetti insieme può far spostare le montagne.

Per comprendere realmente il problema demografico, forse, è necessario, innanzitutto, conoscere com’ è cambiata la società del nuovo millennio. Uno dei cambiamenti sociali che stiamo vivendo è la tendenza della donna a non mettere più il figlio fra i suoi primi obiettivi, ma la ricerca di un lavoro stabile, di una casa, della realizzazione di sè stessa, perdendo di vista l’orologio biologico.

Alla domanda sul perché si sia aspettato così a lungo per cercare il figlio, le risposte più frequenti sono:

.. Avevo la convinzione che si potessero fare figli a qualsiasi età, nessuno dice che le probabilità calano con l’avanzare dell’età. A scuola ti insegnano a come non avere figli

.. c’è la volontà di potersi affermare a livello professionale dopo gli studi

.. le politiche sociali non incentivano la natalità

.. con la nascita di un figlio, tra i genitori è sempre la mamma a dover rinunciare al proprio lavoro, al proprio tempo libero

.. la mentalità italiana non aiuta la natalità, al nord Europa c’è sostegno su diversi livelli e le donne possono fare carriera e realizzarsi ugualmente. C’è il congedo paternità obbligatorio, che deve fare solo il papà, altrimenti si perde

È, forse, necessario, altresì, conoscere quali siano le difficoltà che la coppia, soprattutto la donna, incontra oggi nella gestione dei figli, fin dalla tenera età.

Ed è parlando proprio con la coordinatrice di un importante asilo nido che scopro aspetti di vita familiare, forse non conosciuti o sottovalutati.

Ascoltando la sua esperienza .. il vissuto delle madri più complesso è il loro senso di colpa fra il desiderio di continuare la propria vita da donne ed il conciliare il ruolo di madri. Lamentano una carenza nel supporto emotivo ed anche logistico, ad esempio posti di lavoro poco flessibili alle nuove esigenze, poche strutture educative con spesso orari ridotti. Si sentono poco supportate dalla società circostante, che spinge alla procreazione senza, tuttavia, aiutare poi nel percorso.

Anche le maestre dell’infanzia confermano il bisogno delle mamme, di non essere condizionate eccessivamente dai figli nell’espressione della propria professionalità o del proprio ruolo sociale conquistato. Infatti, vengono richiesti anticipi e posticipi dell’orario di apertura della scuola.

Quindi, la donna, che si è affermata professionalmente ed intellettualmente, non rinuncia, giustamente, alla sua maternità, ma vive con sofferenza la conciliazione famiglia/lavoro, con la conseguenza di voler esercitare la scelta di quando e quanto spesso procreare, e limitare il numero di figli.

La letteratura ci dice che le donne con istruzione più alta tendano ad avere meno figli, che l’istruzione dia alle donne un maggiore controllo sulla propria sessualità e sulla procreazione. (Marmot, 2016)

Altrettanto reali sono i dati secondo cui il divario occupazionale di genere aumenta notevolmente dopo aver avuto figli. Le madri tendono ad essere meno presenti sul mercato rispetto alle donne senza figli, in tutti i livelli di istruzione e in tutti i tipi di famiglie.

La paternità ha l’effetto opposto sui tassi di occupazione degli uomini, i padri con almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni hanno maggiori probabilità di essere occupati rispetto alle madri. Nel complesso avere maggiori responsabilità di cura porta come conseguenza ad una maggior assenza dai posti di lavoro, alla riduzione dell’orario di lavoro, sino, in alcuni casi, all’abbandonare del tutto il mercato. (Viale , 2020)

Queste testimonianze e dati ci portano al secondo vertice del nostro triangolo: il governo. Come si governa il problema demografico?

Un governo illuminato utilizza qualsiasi persona (terzo vertice del triangolo), intesa come risorsa a sua disposizione, per:

  • rafforzare le politiche di conciliazione vita-lavoro, e in particolare lavorando su congedi non trasferibili da un genitore all’altro
  • individuare supporter sociali (ad esempio la terza età ancora attiva, il volontario sociale, etc)
  • Ridurre il gender-gap a livello di work-life balance (diritto sociale fondamentale di favorire la parità nel mercato del lavoro), ancora importante a discapito della componente femminile
  • flessibilità lavorativa a tutti i genitori che lavorano con bambini fino ad almeno 8 anni
  • supporto emotivo delle madri nei primi anni di vita e supporto organizzativo della coppia nella crescita dei figli
  • spazi di ascolto per famiglie (peer tutoring) per apprendere la genitorialità, che non è innata come il senso di maternità o paternità
  • educazione affettiva nelle scuole orientata all’insegnamento della fertilità, della procreazione responsabile e della sessualità

Questi sono solo pochi esempi di come si potrebbe agire, ma sicuramente la creatività della competenza diffusa può arricchire ulteriormente.

Migliorare il sistema di welfare e non rimanere solo in analisi di dati quantitativi del fenomeno è forse l’unico modo per combattere il calo demografico e spostare le montagne.